"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

martedì 22 aprile 2014

Un testo medievale sul Re del Mondo

Mappamondo di Giovanni Leardo
Un testo medievale sul Re del Mondo[1]
a cura di Dario Chioli

Avventura meravigliosa di due messi di Alessandro
Gangies, lo grande fiume, nasce di dritto contra 'l nascimento del Sole,[2] lo quale l'uomo dice[3] che è Egeon, l'uno de' quattro ch'escono del paradiso terrestre,[4] colà dove Alessandro s'arrestò quando credette essere al capo de la fine del mondo. Ma quando li fu detto che più là non riparava gente, sì guernio due navi e misevi uomini e disse: «andate tanto avanti, che voi mangiate di questa vivanda le tre parti, e la quarta vi basti a rivenire, per ciò che a la china dell'acqua verrete più tosto tre tanto, che andare al contrario; e ciò che voi trovarrete, mi raccontiate». Mistones[5] et Arestes, che così avevano nome, andaro tanto avanti, che consumaro la vivanda in fino a la quarta parte. E volendosi mettare al ritorno, scupriro dell'acqua[6] uno piccolo riparo molto bene acconcio e chiuso d'uno alto muro; e belli verzieri v'avea, et era sopra la riva del fiume. Da l'altra parte de la riva aveva una grande montagna, et a' piei di quella montagna sì aveva un'altissima colonna, et uno anello con una catena traversava l'acqua, sì che neuno poteva di là passare senza bassare la catena, perchè l'altro capo era dentro a la magione. Allora salío avanti Mestones, e crullò la catena. Allora aparbe uno bello massaio; la barba aveva bianca, la faccia vermeglia, vestito d'uno bianco armellino, e mise lo capo e le spalle fuore de la finestra, et uno sì grande odore uscío di sue vestimenta, come se tutto '1 balsimo del mondo et oncenso vi fusse sparto; e li àrboli[7] medesimi rendevano grande odore. Allora disse quel vecchio uomo: «che domandate voi?» E coloro risposero e dissero: «messi semo del grande Alessandro, e cerchiamo lo mondo perché del tutto desidera d'essere signore. E se tu ci doni vivanda e levi la catena, noi ci mettaremo avanti e rinunziaremo[8] al nostro signore se alcuna maravillia trovarremo».
Allora disse l'antico uomo: «voi non sete ben savi, che andate cercando li secreti del Signore del mondo». Allora disse Mestones : «è elli altro Signore che Alessandro?» Rispose il vecchio: «mai sì, è un altro che non à pari: Alessandro nacque prima di lui, et elli fu prima d'Alessandro, e àmi dato questo luogo a guardare; e quine oltre àe uno ricco verziere, e non vuole che neuno v’entri dentro, ed àvi uno arbolo che chi mangia del frutto non può morire. Egli è trecento anni che io fui a questa guardia, e giammai non passaro che due uomini, l'uno dinanzi al diluvio, e l'altro poi;[9] e vivono e viveranno in questo verziere sani, senza macula, longiamente. Né io non morrò infino a tanto saranno passati di qui adietro; e ciò non sarà fino a tanto che un altro verrà, lo quale vorrà suo reame sprovare[10] più che Alessandro, che vorrà montare fino alli secreti di Dio. Allora verrà lo re del mondo, lo quale non potrà quello orgoglio sofferire: sì 'nvierà questi due suoi campioni contra lui, et ad me converrà levare allora questa catena.
Io non ve ne posso più dire; ma ritornate, chè se voi andate più avanti, non potrete scampare da morte. E, per ciò che voi andate maravillie cercando, voi ne li portarete una». Allora lo' donò una pietra di grossezza d’una nocella, et eravi uno occhio sì bello intalliato, che pareva che guardasse sì chiaro come occhio del mondo; e disse: «portarete questa pietra al vostro signore, e direteli che questa è quella cosa che più lo somiglia che cosa del mondo; e diteli che mio nome non può sapere». Allora si rimise dentro a la finestra; e li due navicanti tornaro ad Alessandro, e dierli la pietra, e raccontiarli tutto el detto e '1 fatto che trovaro.
Alessandro mandò per savi, e non poteva nè sapeva ritrattare la simillianza de la pietra.[11] Allora mandò per Aristotile lo quale era amalato. Aristotile vi venne, e cognobbe la pietra, e fecesi aportare una bilancia e bisanti d'oro assai, e mise la pietra ne la bilancia e li bisanti da l'altra, e tanti ne contrapesava la pietra, quanti vi se ne mettevano. Allora prese Aristotile una poca di polvere, e meschiolla con una poca di sua saliva, e coprinne questo occhio, lo quale era ne la pietra intagliato.
Allora mutò maniera, chè uno picciolo filo di pallia contrapesava la pietra. Poi disse ad Alessandro: «vedi la simillianza! mentre che li occhi tuoi veggiono, tu contrapesi tutto '1 mondo; quando sarai morto, che li tuoi occhi saranno coperti di polvare, ogni leggera cosa pesarà più di te». Allora Alessandro la gittò nel fiume. La pietra si mise per lo fiume correndo come uno dalfino; e dice uomo[12] che ella ritornò und'ella venne.

Postfazione di Dario Chioli
Sul tema del «Re del Mondo» è ovviamente doveroso il rimando a René Guénon, Le Roi du Monde, Parigi, 1927, trad. di Arturo Reghini presso Atanòr, Roma, 1952, e poi di Bianca Candian, Adelphi, Milano, 1977, in cui si troverà la maggior parte dei riferimenti simbolici utili per avvicinarsi al tema (una prima edizione dell'opera uscì in forma di articolo, tradotto in italiano, nel numero di dicembre 1924 della rivista Atanòr, la cui ristampa anastatica è stata effettuata intorno al 1979 dall'omonima casa editrice).
L'idea di una cerchia misteriosa esistente in un qualche luogo inarrivabile con comuni mezzi (Pardés, Shambhala, Agarttha) è diffusa, affascinante e purtroppo anche concausa di innumerevoli menzogne. E quella di Re del Mondo non sarebbe, come per esempio quella di Prete Gianni, che una delle denominazioni utilizzate per designarne il sovrano a un tempo spirituale e temporale, supremo – anche se per lo più indiscernibile - vertice gerarchico del mondo terreno.
Si può cercare di delimitare il problema affermando che esiste, all'interno di ogni stato di manifestazione, ivi inclusi sia l'esperienza interiore del singolo sia il mondo terreno nel suo complesso, un centro assiale, unico accesso diretto agli stati gerarchicamente superiori ed inferiori, inarrivabile per chi non si è, nel profondo, volto irreversibilmente allo Spirito, così unificando la propria attenzione e il proprio cuore. Ora il conseguimento di tale centro è la misura stessa di quanto può legittimamente chiamarsi "regalità", e lo sforzo di conseguirlo costituisce la vera "nobiltà".
Mentre tuttavia si può ritenere accessibile a molti la "regalità" interiore, molto più oscure sono le condizioni per il conferimento della "regalità" terrena, che non riguarda della terra la parte a tutti nota soltanto, bensì la totalità dei suoi stati sia fisici che sottili. Egualmente misteriosi sono poi le circostanze del suo manifestarsi ed i rapporti di tale aspetto "interno" con i poteri ordinari del mondo. Ora, se non è possibile giungere in questo "santo dei santi" senza avere le necessarie qualità, può tuttavia sembrare a volte che l'elemento "satanico", in quanto riesce in qualche circostanza ad offuscare le menti al di là di ogni prevedibile o precedente manifestazione, metta seriamente a rischio la possibilità di accedere a tale centro, salvo che per "scendere", come se in una casa si nascondesse la porta della soffitta (cioè degli stati superiori; non potendola però chiudere del tutto perché non se ne ha la chiave) e si spalancasse la botola della cantina (cioè degli stati inferiori) per far meglio salire tutto quanto è "satanico".
In questa "discesa-ascesa" sta - sia nell'interiorità del singolo che nel seno della storia - il mysterium iniquitatis, il segreto del regno dell'anticristo che con il potere dell'antico dragone «vorrà montare - dice il nostro testo - fino alli secreti di Dio».
In tale circostanza, però, si ha - sia nell'interiorità dell'uomo spirituale che "alla fine dei tempi" – una reazione che all'elemento satanico riesce per sua natura totalmente inattesa e incomprensibile, in quanto lo Spirito è sempre nuovo rispetto alle attese della mente e dei sensi. «Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell'arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell'uomo» (Matteo, XXIV, 37-39).
Infatti dice il nostro testo che allora «verrà lo re del mondo, lo quale non potrà quello orgoglio sofferire: sì 'nvierà questi due suoi campioni - Enoc ed Elia - contra lui».
E questi due - conoscitori dei significati segreti in quanto giunti nel Pardés, «l'uno dinanzi al diluvio, e l'altro poi» - prepareranno la restaurazione dell'ordine terreno. Si dice infatti in Apocalisse XI, 3-13 (trad. CEI): «farò in modo che i miei due Testimoni, vestiti di sacco, compiano la loro missione di profeti per milleduecentosessanta giorni". Questi sono i due olivi e le due lampade che stanno davanti al Signore della terra. Se qualcuno pensasse di far loro del male, uscirà dalla loro bocca un fuoco che divorerà i loro nemici. Così deve perire chiunque pensi di far loro del male. Essi hanno il potere di chiudere il cielo, perché non cada pioggia nei giorni del loro ministero profetico.
Essi hanno anche potere di cambiar l'acqua in sangue e di colpire la terra con ogni sorta di flagelli tutte le volte che lo vorranno. E quando poi avranno compiuto la loro testimonianza, la bestia che sale dall'Abisso farà guerra contro di loro, li vincerà e li ucciderà. I loro cadaveri rimarranno esposti sulla piazza della grande città, che simbolicamente si chiama Sòdoma ed Egitto, dove appunto il loro Signore fu crocifisso. Uomini di ogni popolo, tribù, lingua e nazione vedranno i loro cadaveri per tre giorni e mezzo e non permetteranno che i loro cadaveri vengano deposti in un sepolcro. Gli abitanti della terra faranno festa su di loro, si rallegreranno e si scambieranno doni, perché questi due profeti erano il tormento degli abitanti della terra. Ma dopo tre giorni e mezzo, un soffio di vita procedente da Dio entrò in essi e si alzarono in piedi, con grande terrore di quelli che stavano a guardarli. Allora udirono un grido possente dal cielo: "Salite quassù" e salirono al cielo in una nube sotto gli sguardi dei loro nemici. In quello stesso momento ci fu un grande terremoto che fece crollare un decimo della città: perirono in quel terremoto settemila persone; i superstiti presi da terrore davano gloria al Dio del cielo».
Possa anche in noi la comprensione, uccisa nella sua ordinarietà, risuscitare nella forma spirituale ed immortale del vangelo eterno (Apoc. XIV, 6); possa perire senza indugio quanto in noi porta il marchio ignobile (Apoc. XIII, 6) e vivere in eterno quanto porta scritto in fronte il nome dell'Agnello e del Padre suo (Apoc. XIV, 1).

Riporto il titolo e le note al testo che ho trovato al capitolo "Leggende di Alessandro" del primo volume del Manuale della letteratura italiana di D'Ancona e Bacci. Soltanto, quanto alle note, le ho disposte diversamente e ne ho introdotto qualcuna (indicata come Nota aggiunta). I fatti di Cesare sono, secondo il Manuale, «molto probabilmente compilazione degli ultimi anni del secolo XIII». Consistono in una riduzione italiana del testo francese Li Fet des Romains compilés ensemble de Saluste, de Suetoine et de Lucan. Il Dizionario Bompiani delle Opere e dei Personaggi, vol. III, p. 303, così ne parla: «Operetta sulle imprese di Cesare, composta nell'ultimo ventennio del sec. XIII, estratto e traduzione di una compilazione francese anonima intitolata Faits des Romains; la dipendenza dal testo francese è riscontrabile anche dal titolo».
Per chi volesse approfondire lo studio de I fatti di Cesare, un lungo studio (pp. VII-LXXVII) fu premesso da Luigi Banchi alla sua traduzione.
Dario Chioli, aprile 2003,
aggiornamento maggio 2008

Tratto da: http://www.superzeko.net/tradition/UnTestoMedievaleSulReDelMondo.html



[1] [testo tratto dal volume – ora liberamente scaricabile da http://books.google.it/ – I fatti di Cesare. Testo di lingua inedito del secolo XIV pubblicato a cura di Luigi Banchi, Bologna, presso Gaetano Romagnoli, 1863, pp. 116-118, poi riprodotto con minime varianti alle pp. 136-137 del Manuale della letteratura italiana compilato dai professori Alessandro D'Ancona e Orazio Bacci, volume I, Nuova edizione interamente rifatta, Barbèra, Firenze, 1925 (18a tiratura)]

[2] Nota aggiunta - «Il Gange sino dalla sua origine il più grosso di tutti scorre dalla parte di Mezzogiorno, e per diritto letto fa tra alti monti il suo cammino. Certe rupi che se gli oppongono, lo fan piegare a Levante» (da: Quinto Curzio Rufo, De' fatti di Alessandro il Grande, trad. Giuseppe Felice Givanni, Antonio Fontana, Milano, 1829, libro ottavo, cap. XVII, p. 343).

[3] "L'uomo dice / dice uomo" = "si dice", calco del francese on dit.

[4] Nota aggiunta - Questo Egeon è naturalmente il Gichòn (g dura e ch tedesco). Il greco dei Settanta ha Geon. Cfr. Genesi 2,8-15 (trad. CEI): «2:8 Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo che aveva plasmato. 9 Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male. 10 Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi. 11 Il primo fiume si chiama Pison: esso scorre intorno a tutto il paese di Avìla, dove c'è l'oro 12 e l'oro di quella terra è fine; qui c'è anche la resina odorosa e la pietra d'ònice. 13 Il secondo fiume si chiama Ghicon: esso scorre intorno a tutto il paese d'Etiopia. 14 Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre ad oriente di Assur. Il quarto fiume è l'Eufrate. 15 Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse».

[5] Nota aggiunta - Nel testo questo Mistones diventa in seguito Mestones.

[6] "dell'acqua" = "standosi nell'acqua, nel fiume".

[7] "àrboli" = "alberi".

[8] "rinunzieremo" ="riferiremo".

[9] Nota aggiunta - Sono evidentemente Enoc ed Elia. Cfr. il passo dell'Apocalisse (XI, 3-13) sopra riportato.

[10]  Forse: vorrà diminuir di pregio la prova, l'esempio di Alessandro nel formare un gran reame, superarlo. Nulla qui soccorre il testo latino, avendo il raffazzonatore italiano mescolato qui, di suo o seguendo più probabilmente altro testo, alla leggenda di Alessandro quella di Enoc e di Elia. [Nota aggiunta - Si direbbe un calco del francese antico esprover, "distinguere" nel senso di "rendere distinto, importante"].

[11]  Trovare ciò che nella pietra potesse assomigliarlo, simboleggiarlo.


[12] V. nota 3

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