"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

domenica 8 giugno 2014

Muhammad al-‘Arabî ad-Darqâwî, Lettere di un maestro Sufi - Lettera 3

Muhammad al-‘Arabî ad-Darqâwî
Lettere di un maestro Sufi*

Lettera 3
L’intenzione pura è veramente l’elisir (che trasforma il metallo vile dell’anima in oro), poiché fu essa a darmi la forza di cercare colui che mi avrebbe condotto a Dio. Ed ecco che lo trovai proprio accanto a me, vicinissimo, come se abitassimo la stessa casa. Il mio maestro - si compiaccia Iddio di lui - era all’esterno tutto rigore e nell’interno totalmente bellezza; voglio dire con questo che esteriormente praticava l’umiliazione e la servitù, mentre interiormente era nella gloria e nella libertà. E cosa è peggio del contrario, ossia di chi vive in uno stato di gloria e di libertà esteriori, e di umiliazioni e schiavitù interiori, o che esteriormente è tradizionalista e interiormente innovatore, esteriormente conforme alla legge e interiormente senza legge, in apparenza domenicale e in sostanza satanico? “Nulla ostacola maggiormente l’attuazione dello scopo quanto l’aver negletto le fondamenta”. (Proverbio sufico n.d.r.) Non v’è dubbio che quando uomini eletti come il mio maestro s’umiliano all’esterno e di loro volontà, Dio li eleva interiormente ed esteriormente, per cui essi vivono in una gioia perpetua; mentre gli uomini comuni, quando agiscono in senso inverso vale a dire glorificandosi all’esterno, vengono abbassati da Dio sia esteriormente che interiormente, per cui vivono in una perenne tristezza. Il maestro era pago della conoscenza di Dio e non si volgeva né verso il manifestato nè verso l’occulto; badava soltanto alla sua relazione con Dio e non s’occupava della lode o del biasimo altrui. Recitava spesso questi versi: Purché Tu sia dolcezza, sia pure amara la vita! Se Tu sei lieto, che importa il corruccio degli uomini? 
Ogni cosa tra Tè e me sia giardino coltivato,
E tra me e il mondo vi sia solo il deserto!
Se il tuo amore è certo, tutto riesce facile,
Giacché sulla terra non v'è altro che terra, 
Il suo stesso comportamento diceva: O Dio, fa’ che la mia onta sia evidente alle creature e la mia integrità visibile soltanto a Te e non il contrario! Dio - sia lode a Lui - ha detto: “essi (gli uomini) non ti renderanno in alcun modo indipendente da Dio” (Corano, XLV 19). Ascolta, faqir, qualche detto del mi maestro - Iddio sia soddisfatto di lui -: “Mentre gli altri si preoccupano dell’adorazione, tu occupati dell’Adorato; se essi si occupano dell’amore, tu occupati dell’Amato; quando aspirano a compiere miracoli, tu aspira ai piaceri della preghiera; mentre moltiplicano le loro devozioni, tu votati al tuo generosissimo Signore”, e così via. Soleva anche dire, nelle sue conversazioni spirituali: “Se contemplaste Dio in ogni cosa, la sua contemplazione velerebbe ogni cosa ai vostri occhi. Poiché Egli è la sola cosa al di fuori della quale non v’è n’è altra. Se unisci l’effimero all’eterno, l’effimero scompare e resta solo l’eterno. Se le qualità del Diletto dovessero manifestarsi, si annichilirebbero insieme al velo e chi ha la vista velata. Quando le luci della pura contemplazione sono rivelate, scompaiono sia l’asceta sia ciò di cui si priva. Astenersi dalle cose significa sopravvalutare la loro potenza, e questo deriva dal velo che vi nasconde Dio; se infatti lo contemplaste nelle cose, o prima o dopo le cose, queste non ve lo celerebbero; se foste in grado di vedere la loro esistenza come emanante da Lui, tale esistenza non ve lo nasconderebbe. Le uniche cose che s’interpongono tra voi e Colui che adorate sono la gioia di quanto possedete e il rimpianto di quanto non possedete, l’unica cosa che vi separa dalla beatitudine è questo biasimevole sentire. Se non vi fossero l’intrigante e la spia, il vostro gaudio nel Diletto non diverrebbe mai perfetto (L’«intrigante» e la «spia» appartengono alla poesia erotica e nel contesto significano a un tempo l’ostilità del mondo profano e le interferenze psichiche. n.d.r.). Se non vi fossero il fuoco e la puntura delle api, non si potrebbe mai gustare il favo e il miele”. (Tali aforismi hanno in arabo la forma di versetti ritmici. n.d.r.). E diceva molte altre cose oltre a queste. Disse anche: “Chi pretende di aver bevuto il vino degli iniziati e di aver compreso le loro verità spirituali, e malgrado ciò non si è distaccato dal mondo, costui mente. Come il paradiso non è accessibile a chi non è morto e nato di nuovo, così il paradiso della gnosi rimane chiuso a colui la cui anima non è morta al mondo, al desiderio di agirvi, di compiere scelte, di possederlo e di goderne; a chi non è morto a ogni cosa fuorché a Dio”. E affermò anche - sia Dio soddisfatto di lui -: “Non dire “io” prima di essere estinto (in Dio). Non avrai vita prima di aver subito la morte. I soli non sorgeranno in te prima della morte delle anime”. (In questo detto i “soli” e le “anime” sono al plurale perché alludono ai molteplici gradi della via spirituale, ogni nuova illuminazione essendo preceduta dalla morte di un’”anima”. n.d.r.). Non giungerai allo scopo cui aspiri finché gli uomini continueranno a lodarti. Non gusterai il cibo della fede prima di essere uscito dai mondi dei creati. (La fede (al-jman), secondo il Corano, può aumentare illimitatamente, e nei suoi gradi superiori s’identifica con la gnosi. n.d.r.). Perverrai all’estinzione (fana) in Dio soltanto dopo essere morto al mondo evanescente. Se dinnanzi a te fossero tolto i veli, contempleresti il Diletto in te stesso. Se in te svanissero le suggestioni dell’immaginazione, contempleresti senza fine l’eterno. Se la tua anima non ti allontanasse dal tuo Signore, non vedresti realtà al di fuori di Lui. Se la tua anima fosse libera da bruttura, la Verità verrebbe e la vanità sparirebbe”. (Allusione al versetto coranico: “è venuta la Verità e la vanità è scomparsa, certo la vanità è evanescente” (XVII, 81) n.d.r.)

*Traduzione: Titus Burckhart, Lettere di un maestro sufi. (Il numero progressivo della Lettera corrisponde all'edizione di riferimento) 

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