"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

martedì 7 ottobre 2014

René Guénon, Iniziazione e realizzazione spirituale - XXVIII - Il travestimento «popolare»

René Guénon
Iniziazione e realizzazione spirituale 

XXVIII - Il travestimento «popolare» 

Facevamo osservare testé che gli «Immortali» del Taoismo, nel modo in cui vengono ritratti, presentano le sembianze della stravaganza e della volgarità combinate insieme; questi due aspetti riuniti possono anche ritrovarsi altrove, e difatti il majdhûb, il «giocoliere», nonché coloro che, come abbiamo spiegato, ne prendono a prestito l’aspetto esteriore, presentano evidentemente, insieme ad una apparenza di «follia», anche un certo carattere «popolare».
Questi due aspetti tuttavia, non sono necessariamente solidali in tutti i casi, per cui può succedere che quello che indifferentemente possiamo chiamare «volgare» o «popolare» (in quanto questi due termini sono in fondo pressoché sinonimi) serva soltanto da «travestimento» iniziale; vogliamo dire con ciò che gli iniziati, e specie quelli degli ordini più elevati, si dissimulano volentieri in mezzo al popolo, facendo in modo, esteriormente, di non distinguersene per niente. Si può osservare che questa, in definitiva, è l’applicazione più stretta e più completa del precetto rosacrociano che impone di adottare sempre il linguaggio e i costumi delle genti fra cui si vive, nonché di conformarsi a tutti i loro modi di fare; certamente può trattarsi in primo luogo di un mezzo per passare inosservati tra i profani, cosa non senza importanza sotto diversi aspetti, ma che non impedisce l’esistenza di altre ragioni più profonde.
Bisogna in effetti sottolineare che, in casi del genere, è sempre del popolo che si parla, e non della cosiddetta «classe media» come convenzionalmente viene chiamata in Occidente, o di ciò che ad essa più o meno esattamente corrisponde altrove; e la cosa è vera a tal punto che, nei paesi di tradizione islamica, si dice che quando un Qutb deve manifestarsi fra gli uomini comuni, egli riveste spesso l’apparenza di un mendicante o di un venditore ambulante. D’altronde, sempre a questo stesso popolo (e l’accostamento non è certo fortuito) viene affidata la conservazione delle verità d’ordine esoterico che diversamente rischierebbero di perdersi, verità che certamente esso è incapace di comprendere, ma che tuttavia trasmette non meno fedelmente, sia pure rivestite, a tal fine, da un travestimento più o meno grossolano; ed è questa in definitiva l’origine reale e la vera ragione d’essere d’ogni «Folklore», e così pure dei cosiddetti «racconti popolari». Ma come accade, ci si potrebbe chiedere, che l’élite, e per di più la parte più elevata di essa, possa trovare il suo miglior rifugio, sia per se stessa che per la verità che detiene, proprio in questo ambiente da taluni in senso peggiorativo definito come quello del «popolino», e di cui in certo qual modo essa è l’opposto? Parrebbe qualcosa di paradossale, se non addirittura di contraddittorio; in realtà, come vedremo, non è affatto così.
Il popolo, almeno finché non ha subito una deviazione di cui non è minimamente responsabile, in quanto di per se stesso non è se non una massa eminentemente «plastica» corrispondente al lato propriamente «sostanziale» di quella che si può chiamare l’entità sociale, il popolo dicevamo, porta in sé, per via di questa «plasticità», anche delle possibilità che la «classe media» non ha affatto; certamente si tratta di possibilità indistinte e latenti, delle virtualità se si vuole, ma che tuttavia esistono e sono sempre suscettibili di svilupparsi incontrando condizioni favorevoli. Contrariamente a quel che ci si compiace di affermare ai giorni nostri, il popolo non agisce spontaneamente e non produce nulla per conto suo; ma è come una «riserva» da cui si può ricavare tutto, il meglio come il peggio, a seconda delle influenze che su di lui si esercitano. Quanto alla «classe media», è facilissimo rendersi conto di cosa da essa ci si può attendere, se si pensa alla sua caratteristica essenziale, quel sedicente «buon senso» strettamente limitato, che trova la sua più compiuta espressione nella concezione della «vita ordinaria», e ai prodotti più tipici della sua caratteristica mentalità, cioè il razionalismo ed il materialismo dell’epoca moderna; è questo che dà la misura più esatta delle sue possibilità, in quanto è ciò che se ne ottiene quando le si permette di svilupparsi liberamente. Con ciò non vogliamo affatto dire che a questo proposito essa non abbia subito delle suggestioni, dato che in fondo anch’essa è «passiva», sia pure relativamente; ma non è men vero che è in seno ad essa che le concezioni in questione hanno preso forma, per cui è implicito che queste suggestioni abbiano incontrato un terreno appropriato e cioè, per forza di cose, che esse in qualche modo corrispondessero alle sue tendenze particolari; e in fondo, se è giusto qualificarla come «media», non è soprattutto a condizione di dare a questa parola un senso di «mediocrità»?
D’altronde esistono altri elementi per completare il quadro che abbiamo dipinto e per dargli tutto il suo significato: gli è che l’élite, per il fatto stesso di essere all’estremo opposto del popolo, trova in questo il suo riflesso più diretto, allo stesso modo che in tutte le cose il punto più alto si riflette direttamente nel punto più basso e non in uno qualunque dei punti intermedi. È vero che si tratta di un riflesso oscuro ed invertito, come lo è il corpo in rapporto allo spirito, ma nondimeno esso offre la possibilità d’un «raddrizzamento» paragonabile a quello che si produce alla fine di un ciclo; è soltanto quando il movimento discendente ha raggiunto il termine, cioè il punto più basso, che tutte le cose possono essere immediatamente ricondotte al punto più alto per iniziare un nuovo ciclo; per questo è esatto dire che «gli estremi si toccano» o meglio si congiungono. La similitudine tra il popolo e il corpo, cui testé abbiamo fatto allusione, si giustifica d’altronde anche per il carattere di elemento «sostanziale» che entrambi ugualmente presentano, rispettivamente nell’ordine sociale ed in quello individuale, mentre il «mentale», soprattutto se considerato sotto l’aspetto della «razionalità», corrisponde piuttosto alla «classe media». Ne risulta che l’élite, discendendo in certo qual modo fino al popolo, vi trova tutti i vantaggi dell’«incorporazione», in quanto questa è necessaria per la costituzione d’un essere realmente completo nel nostro stato di esistenza; ed il popolo è per essa un «supporto» e una «base», allo stesso titolo che il corpo lo è per lo spirito manifestato nell’individualità umana[1].
L’apparente identificazione dell’élite con il popolo corrisponde propriamente, nell’esoterismo islamico, al principio dei Malâmatiyah, i quali si impongono la regola di assumere un aspetto esteriore tanto più ordinario e comune, anzi addirittura grossolano, quanto più perfetto e di spiritualità più elevata è il loro stato interiore, e di mai lasciar apparire niente di questa spiritualità nelle loro relazioni con gli altri uomini[2]. Si potrebbe dire che mediante questa estrema differenza fra interno ed esterno, essi pongono il massimo di «intervallo», se ci è lecito esprimerci così, fra questi due lati del loro essere, il che permette loro di comprendere in sé stessi la maggior somma di possibilità d’ogni ordine, la quale, al termine della loro realizzazione, deve logicamente culminare nella vera «totalizzazione» dell’essere[3]. È sottinteso del resto, che questa differenza si riferisce in definitiva soltanto al mondo delle apparenze, e che, nella realtà assoluta, cioè al termine di quella realizzazione di cui abbiamo parlato, non c’è più né interiore né esteriore perché, ancora una volta, è là che gli estremi sono finalmente ricongiunti nel Principio.
D’altronde, è particolarmente importante osservare che l’apparenza «popolare» rivestita dagli iniziati costituisce, a tutti i livelli, come un’immagine della «realizzazione discendente»[4]; è per questo che lo stato di Malâmatiyah è detto «rassomigliare allo stato del Profeta, il quale fu elevato ai più alti gradi della Prossimità divina» ma, «quando tornò verso le creature, non parlò con esse se non delle cose esteriori», di modo che, «del suo incontro intimo con Dio, nulla apparve sulla sua persona». Se inoltre è detto che «questo stato è superiore a quello di Mosè, la cui figura non poté esser guardata da nessuno dopo che ebbe parlato con Dio», ciò è ancora riferibile all’idea della totalità, proprio in virtù delle nostre spiegazioni di poc’anzi; in fondo si tratta di un’applicazione dell’assioma secondo il quale «il tutto è superiore alla parte»[5], qualsiasi parte d’altronde, fosse pure la più eminente di tutte[6]. Nel caso rappresentato qui dallo stato di Mosè, in effetti, si potrebbe dire che la «ridiscesa» non si è completamente effettuata, e non ingloba integralmente tutti i livelli inferiori fino a quello che, simboleggiando l’apparenza esteriore degli uomini volgari, li fa partecipare alla verità trascendente nella misura delle loro rispettive possibilità; in certo qual modo, quest’ultimo aspetto è l’inverso di quello da noi considerato in precedenza quando parlavamo del popolo come «supporto» dell’élite, e naturalmente ne è anche l’aspetto complementare, in quanto questa stessa funzione di «supporto», per essere efficace, richiede necessariamente una certa partecipazione, talché i due punti di vista si implicano reciprocamente[7].
Va da sé che il precetto di non distinguersi per niente dal volgo quanto alle apparenze, allorché in realtà vi è la più profonda differenza, si ritrova anche espressamente nel Taoismo, e lo stesso Lao Tsé lo formulò a più riprese[8]; qui d’altronde, tale precetto è legato strettamente ad un certo aspetto del simbolismo dell’acqua, la quale va sempre nel luogo più basso[9], e, pur essendo quanto vi è di più debole, viene tuttavia a capo delle cose più forti e più potenti[10]. L’acqua, in quanto immagine del principio «sostanziale» delle cose, può anche esser vista, nell’ordine sociale, come un simbolo del popolo, il che corrisponde giustamente alla sua posizione inferiore; e il saggio, imitando la natura e il modo di essere dell’acqua, si confonde apparentemente con il popolo; ma ciò gli permette, meglio di qualsiasi altra situazione, non solo di influenzare tutto quanto il popolo mediante la sua «azione di presenza», ma anche di conservare intatto, al riparo da ogni attacco, ciò per cui egli è superiore agli altri uomini e che, d’altronde, costituisce la sola vera superiorità.
Dopo aver necessariamente soltanto accennato ai principali aspetti di questa questione così complessa, termineremo con un’ultima osservazione, che si riferisce più specialmente alle tradizioni esoteriche occidentali: si dice che i Templari sfuggiti alla distruzione del loro Ordine, si dissimularono tra gli operai costruttori; anche se per certuni questa è soltanto una «leggenda», la cosa non è tuttavia meno significativa quanto al suo simbolismo; ed è però incontestabile che diversi ermetisti lo fecero, in particolare fra quelli che si riallacciavano alla corrente rosacrociana[11]. A questo proposito ricorderemo ancora che, fra le organizzazioni iniziatiche basate sull’esercizio di un mestiere, quelle che rimasero sempre prettamente «artigianali» subirono una degenerazione minore di quelle che furono influenzate dall’intrusione di elementi prevalentemente appartenenti alla «borghesia»: non si può forse vedere anche qui, a parte altre ragioni già da noi spiegate, un esempio di quella facoltà di conservazione «popolare» dell’esoterismo di cui il «folklore» è ugualmente una manifestazione?

[1] Quanto sopra, come raffigurazione di una «discesa dello spirito», può essere accostato alle considerazioni che esporremo più avanti alla fine del capitolo XXXI: Le due notti. 
[2] Vedere Abdul-Hâdi, El-Malâmatiyah, nel n. d’ottobre 1933 del Voile d’Isis ed appendici del presente volume. 
[3] Con ciò non vogliamo dire che la totalità possa esser raggiunta unicamente in questo modo, ma soltanto che un modo per farlo effettivamente può essere quello proprio alla via dei Malâmatiyah. 
[4] Vedere l’ultimo capitolo di quest’opera: Realizzazione ascendente e discendente. 
[5] Non diciamo «più grande» come si fa abitualmente restringendo la portata dell’assioma alla sola applicazione matematica; qui evidentemente si deve considerarlo al di là del dominio quantitativo. 
[6] Analogamente, così dev’essere intesa la superiorità di natura dell’uomo in rapporto agli angeli, come la si considera nella tradizione islamica.

[7] La partecipazione in questione d’altronde, non è sempre esclusivamente limitata all’exoterismo tradizionale; si può rendersene conto con un esempio come quello della maggior parte delle turûq islamiche, che nella loro parte più esteriore, ma tuttavia per definizione stessa ancora esoterica, si associano elementi prettamente «popolari», i quali non sono evidentemente suscettibili altro che di un’iniziazione semplicemente virtuale; e sembra che qualcosa di simile avvenisse nella «thyasi» dell’antichità greca. 
[8] Tao-te-king, in particolare cap. XX, XLI, LXVII. 
[9] Ibidem, cap. VII; cfr. cap. LXI e LXVI. 
[10] Ibidem, cap. XLIII e LXXVIII. 
[11] È fuori causa che qui non facciamo affatto allusione alle pretese origini della trasformazione «speculativa» della massoneria, trasformazione che in realtà fu soltanto una degenerazione come abbiamo sufficientemente spiegato in altre occasioni, e che quanto abbiamo in vista risale ad epoche ben anteriori all’inizio del XVIII secolo.

1 commento:

  1. L'essenza del popolo è simile all'acqua. L'esteriorità del popolo è simile alla terra. La terra sembra fermare l'acqua, ma in realtà l'assorbe, perché nascano futuri germogli. La quarta casta è per l'appunto quella degli shudras che sono legati alla terra. Il colore della terra è il nero, il suo pianeta è saturno, l'umore ad essa legato è la bile nera. Il suo stato dell'animo è la melancholia. Essa corrisponde alla fine del processo manifestativo e dunque alla chiusura di un ciclo, che prelude ad un ciclo nuovo. Sotto un altro aspetto, complementare al primo, corrisponde all'esaurirsi di determinate possibilità di manifestazione,.che prelude all'aprirsi di nuove.. Per questo, è ad un tempo desolazione e speranza. Nella Qabbalah, il fondo non è Malkuth, che corrisponde al numero 10, ma Yesod, il fondamento, che corrisponde al numero nove: è la tet, il vaso. Per questo è detto (Sepher ha Temunah I.9.) che essa vale 9, oppure è al posto dello jod (che vale 10). Per questa ragione nel popolo si nascondono i Santi e i Profeti.

    "Il firmamento è simile a una cisterna e sopra la cisterna sta una volta, ed a causa della cisterna la volta trasuda goccioloni e quelli scendono in mezzo alle acque salate e non vi si mescolano" (Bereshit Rabba, IV.5.)

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