"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

domenica 19 aprile 2015

Denis Gril, Il fondamento divino della futuwwa secondo Ibn ‘Arabî

Denis Gril 
Il fondamento divino della futuwwa secondo IbnArabî

La futuwwa designa innanzi tutto in arabo la qualità di fata: uomo giovane o uomo in forza dell’età, generoso e pronto a fare dono di se stesso, virtù cavalleresca per eccellenza. Successivamente, intorno al 3°/9° secolo, al momento in cui nell’Islam le differenti forme del sapere e di appartenenza comunitaria si definiscono, la futuwwa ricopre delle realtà complementari. Una, più visibile sul piano sociale in Iran e nel Vicino Oriente, raggruppa diverse organizzazioni iniziatiche, praticanti sovente le arti marziali[1] o legate alle corporazioni di mestiere.
L’altra, più spirituale, si distingue difficilmente dagli ambienti sufi con i quali è in stretto contatto. Abu 'Abd al-Rahman al-Sulami (m. 412/ 1021), che giocò un ruolo decisivo nella trasmissione dell’nsegnamento dei primi sufi alle generazioni successive, se ne fece interprete nel suo Kitâb al-futuwwa[2]. Sotto la sua penna, attraverso le tradizioni profetiche e i detti dei maestri del tasawwuf, la futuwwa appare come la riunione di tutte le virtù. Si ritrova quest’idea nelle Futuhat al-makkiyya,  cap. 42 e 146 sulla futuwwa, ciò che non ha nulla di sorprendente perché esiste tra l’opera di Sulami e quella di Ibn ‘Arabî un legame profondo[3].
Il significato delle tradizioni riportate nel Kitab al-futuwwa si ritrova implicitamente nelle pagine dello Shaykh al-Akbar. Qushayri (m. 465/1072), di cui Sulami fu uno dei maestri, riunisce a sua volta nel capitolo della sua Risala sulla futuwwa un insieme di citazioni che si potrebbero classificare così: preferire l’altro a se stesso, l’eccellenza del carattere, non obbedire alla propria anima. Al-Hakim al-Tirmidhi, definendo così la futuwwa: «è essere dalla parte del tuo Signore contro la tua anima»[4] precede Ibn ‘Arabî. All’inizioo del 13° secolo il Califfo abasside al-Nasir li-din Allah tentò, per rinforzare la sua autorità, di riunire i due aspetti della futuwwa con l’aiuto del Gran Maestro dei sufi di Baghdad, Shihab al-Din'Umar al-Suhrawardi (m. 632/1234-5), un contemporaneo di IbnArabî[5]. Le sue fotowwat-nameh, redatte in persiano  e amalizzate da H. Corbin[6] attribuiscono la fondazione della futuwwa ad Abramo. In effetti di tutti i figli di Adamo, Seth ereditò la Via interiore, la tarîqa, che Abramo adattò per coloro che non potevano accoglierne tutte le condizioni e trasmise a Ismaele[7]. Tuttavia in altri passaggi, Suhrawardi vede nella futuwwa "il midollo della sharî'a, della tarîqa e della haqiqa " (la Legge, la Via e la Conoscenza metafisica)[8]. Molto diversi nel loro modo d'esposizione i trattati di Suhrawardi ed i due capitoli di Ibn ‘Arabî tuttavia in fondo convergono.
Se Abramo è considerato come il fondatore della futuwwa, è perché il Corano fa di lui il modello del fata, non a causa della sua generosità e della sua ospitalità, ma perché egli osa, solo di fronte al suo popolo e a costo della sua vita, distruggere gli idoli e instaurare così il culto del Dio unico (cfr. Corano 21:60). Il capitolo di IbnArabî può essere letto come un ritorno verso il significato più metafisico di questa futuwwa abramica che consiste a dare a Dio la preferenza assoluta su ogni cosa. I Compagni della Caverna meritano ugualmente di essere chiamati fitya (pl. di fata) perché essi fuggirono l’idolatria del loro popolo (cfr. Corano 18:10, 13). Mentre Abramo restaura la Religione immutabile (al-din al-qayyim), i Compagni della Caverna, “vizir del Mahdî, la preservano fino alla fine dei tempi.
Il capitolo delle Futuhat su «La Futuwwa, i fityan (altro pl. di fata), le loro dimore spirituali, i loro gradi gerarchici e i segreti dei loro poli»[9] sottolineano prima di tutto la forza d’animo, le “nobili virtù” (makarim al-akhlaq) di questi esseri spirituali, esplicita la natura della loro eredità abramica e muhammadiana e identifica i fityan tra l’élite degli uomini di Dio, i malamiyya o “uomini del biasimo”. Ci sembra tuttavia più utile di tradurre i due capitoli sulla nozione spirituale (maqam) della futuwwa e sull’abbandono o il superamento di questo maqam[10]. Lo Shaykh al-Akbar, riportando tutte le cose a loro principio, vi rivela il fondamento divino della futuwwa,  ciò che non avevano fatto i suoi anticipatori. Ne espone anche le conseguenze pratiche; ai suoi pari fa comprendere che mai il punto di vista iniziatico deve contraddire l’insegnamento universale della Legge sacra, per non rischiare le più pericolose deviazioni.
Questi capitoli, malgrado un modo d’espressione specificatamente islamico, possono dunque interessare ogni forma di rganizzazione iniziatica e questo non per caso se è a proposito della futuwwa che lo Shaykh precisa queste regole universali.
Per facilitare la comprensione al lettore poco familiare con questo genere di testo, si è fatta precedere la traduzione di un riassunto. In effetti, penetrare un capitolo delle Futuhat esige sempre di seguirne attentamente il cammino, perché ogni sviluppo, ogni digressione apparente corrisponde a un disegno preciso. Bisogna anche tener conto del contesto generale della dottrina islamica, giuridica, teologica o iniziatica. Ogni affermazione deve essere argomentata e fondata sulla doppia autorità della Legge rivelata (sharî’a) e della ragione (aql). I capitoli che seguono non scappano a questa regola.
Affermare che la futuwwa è una qualità divina (na't ilahî) non va da sé, perché mai i testi sacri ne impiegano questo termine, non più di quello di fata, a proposito di Dio. Per provare il suo fondamento divino, lo Shaykh ricorda l’indipendenza totale di Dio verso le Sue creature, affermata dal Corano e fondata dalla ragione. Dio non ha dunque bisogno del mondo. Tuttavia in un altro versetto, egli afferma aver creato i jinn e gli uomi affinché L’adorassero. Due tradizioni “sante” (qudsi), in cui Dio parla in prima persona, vanno ugualmente in questo senso. In una, mosaica, Dio afferma aver creato le cose per l’uomo e l’uomo, per Sé Stesso; l’altra, muhammadiana, è il celebre hadith: «Ero un tesoro nascosto e ho voluto essere conosciuto». Ora l’amore suppone una dipendenza vis-a-vis dell’amato. Dando un’apparente ragione alla Sua creazione, Dio fa atto di futuwwa. Dà la preferenza all’altro rinunciando all’isolamento o alla singolarità del Suo Essere (infiradu-hu bi-l-wujud). Ma Egli evita evita di ricordare all’uomo questo dono gratuito, dando una ragione alla creazione, perché la futuwwa consiste a manifestare i benefici degli altri e a nasconderne il senso. A questo proposito la creazione divina è comparata all’elemosina che il Corano raccomanda di non ricordare, ciò che sarebbe imbarazzante per il suo beneficiario.
Si vede dunque come la futuwwa abbraccia tutte le “nobili virtù” (makarim al-akhlaq)  il cui fondamento è sempre divino. Suppone ugualmente un’altra qualità che come essa comprende tutte le altre, l’adab o attitudine giusta in ogni cosa e più particolarmente, con lo Shaykh al-Akbar, nell’enunciato della dottrina. Tornando al suo punto di partenza, si constata che se il principio divino della futuwwa è ben provato, il suo nome non è attestato per Dio. Conviene dunque rispettare l’istituzione divina (tawqîf).
Questa precisazione sull’importanza dell’adab nella maniera di esprimersi a soggetto di Dio gli permette di abordare la questione delicata dello shath. L’insistenza dello Shaykh su questo punto chiarisce la sua concezione della futuwwa. Shath (pl. shatâhâf) significa letteralmente uno “sconfinamento” della parola che incontra Dio in generale, quando l’iniziato, pieno della Presenza divina, si esprime in maniera “teofatica”, uscendo così dalla propria natura. Per IbnArabî, è una forma d’ignoranza, dunque d’imperfezione. Più grave ancora sono le shatâhât attraverso le quali alcuni maestri sembrano affermare la superiorità dei santi sui profeti o dell’uomo sull’angelo dimenticando la gerarchia degli esseri stabilita da Dio. Queste due forme di shath rischiano ancor più ancora che la prima, di sviare ascoltatori non accorti. In somma, la futuwwa suppone la rinuncia a ogni pretesa, qualunque essa sia e la sottomissione indefettibile e totale alla Legge divina.
La futuwwa dell’uomo deve modellarsi su quella di Dio, senza confondersi con essa. Così come Dio creaando l’uomo l’ha preferito a stesso, l’uomo nei suoi rapporti con gli altri, non deve vedere che Dio. Essa non risiede dunque in una dedizione incondizionata all’altro, non potendo gli altri che trascinarci verso le contraddizioni e le opposizioni inerenti alla manifestazione. Ecco perché Abramo incarna nel Corano il modello del fata. Egli si offre in sacrificio nella fornace e perviene così alla perfetta realizzazione dell’unità divina.
Che egli abbia o no agito su ordine di Dio, ha preferito Dio a ogni altro.
È con la Legge rivelata, espressione dettagliata della Sua volontà e trasmessa dai Suoi inviati che Dio mette l’élite dei Suoi servitori alla prova di questa preferenza. In nessun caso il servitore deve preferire le prove della sua ragione o degli svelamenti del suo cuore a uno statuto fissato dalla Legge sacra. Due esempi, uno positivo, l’altro negativo, spiegano quest’affermazione. Abu Madyan, che lbnArabî considera come suo maestro, si nutriva, lui e i suoi discepoli delle offerte che gli portavano. Che il nutrimento offerto fosse buono o rozzo, lo considerava come un dono di Dio. Se gli si offriva del denaro comprendeva che Dio gli aveva lasciato la scelta del cibo e non comprava allora che ciò che pensava il più adatto all’anima dei suoi discepoli, vale a dire il più frugale.
Questo esempio vuol mostrare che per gli uomini di Dio, la futuwwa consiste nella scelta la più conforme alla Legge e dunque alla salute dell’anima. Il capitolo seguente sull’abbandono della futuwwa spiega perché. Al contrario, quando il servitore è provato da una conoscenza ispirata che gli rivela il senso di uno tra gli statuti della Legge e e che questo senso sembra in contraddizione con il senso letterale, mai deve preferire la propria intuizione. Lo Shaykh enumera più tipi di contraddizioni tra l’aspetto esteriore della Legge e la sua comprensione interiore che hanno fatto cadere iniziati di alto rango. All’ooposto di Abramo, essi hanno “preso la loro passione per Dio” dando la preferenza alla loro intuizione su una legge universale, divina e profetica.
Nel capito sull’abbandono della futuwwa, IbnArabî mostra come uscire dal dilemma. Come in effetti conciliare la futuwwa che è preferire l’altro a se stesso e l’obbligo in certi casi di dare la priorità al diritto della propria anima. La risposta è semplice: basta considerare che la propria anima appartiene a Dio e che rendendogli ciò che gli è dovuto, si obbedisce a Dio e alla sua Legge. Preferndo l’obbedienza a Dio e rinunciando a una concezione troppo limitata della futuwwa. Il conoscente rompe, sull’esempio di Abramo, l’ultimo idolo che lo separa da Dio.
L’aneddoto del discepolo e delle formiche, preso senza dubbio dalla Risala di Qushayri, permette allo Shaykh di rettificare l’insegnamento dei suoi predecessori. Egli non apprezza che moderatamente la futuwwa raffinata di un discepolo che fa attendere gli invitati del suo maestro perché delle formiche si trovano sul pasto e che non vuole disturbarle. La futuwwa per IbnArabî sarebbe stata di rispettare il diritto degli ospiti pur domandando consiglio al suo maestro, ovvero a seguire il comandamento della Legge e a non far prevalere l’opinione individuale, rispettando questi esseri vicini a Dio, giacché obbediscono alla loro legge, che sono le formiche. 
La futuwwa esige dunque l’obbedienza a una sola legge, quella di Dio solo, da cui la sua similitudine con l’amore. Senza l’amore, niente conoscenza, né creazione, né virtù cavalleresca. 




[1] Vedere l’articolo Futuwwa di Cl. Cahen e Fr. Taesclmer in L’Encydopédie de l'Islam,ed.II 983-991.

[2] Ed. Sulayman Atesh, Ankara 1977; trad. francese e presentazione di Faouzi Skali, Futuwah, traite de chevalerie soufie, Paris, 1989.

[3]Sulami appare a IbnArabî quando questi entra nella stazione della prossimità suprema (maqam al-qurba '), cf. Futuhat, II, 261, cap. 161 e Les Illuminations de. La Mecque, p.341.

[4] Risala Qushayriyya, ed. "Abd al-Halim Mahmud, Il Caire, 1972,p.473.

[5] Sul ruolo di Suhrawardi presso il Califfo al-Nasir, v. Angelika Hartmann, An-Nasir li-Din Allah, Berlino-New-York, 1975, p. 240-4.

[6] Traites des compagnons-chevaliers, recueil de sept Fotowwat-Ndmeh publicato da Morteza Sarraf, introd. Analitica di H.Corbin, Bibliotheque Iraniemie, Teheran-Paris, 1973, p. 37-58.

[7] Allora che tutte le catene iniziatiche del tasawwuf rimontano al Profeta e per lui, a Gabriele e ad Allâh, quelle della futuwwa rimontano sempre per l’intermediario del Profeta e dei principali profeti, fino ad Adamo.

[8] Traite des compagnons-chevaliers. p, 50.

[9] II, 241-4, cap-42.


[10] Futdhât, ed. Dâr Sadir, riprod. de l'éd. del 1329 E. II 231-4 et 234 5, cap. 146 et 147.

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