"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

lunedì 11 aprile 2016

Ibn 'Arabî, Le malefatte di giuristi (fuqaha) (Estratto da Al-Futâhâtu al-Mekkiyya cap. 30)

Ibn 'Arabî
Le malefatte di giuristi (fuqaha)

(Estratto da Al-Futâhâtu al-Mekkiyya cap. 30) [1]

Il disastro accade quando si dice ad uno dei membri di questa classe ostile [fuqahâ] “Occupati di te stesso!”, è sentirsi rispondere: “Io non mi rivolgo contro te che per lo zelo per la religione di Dio che amo di un amore geloso.
Ora, la gelosia in vista di  (difendere gli interessi di) Dio è parte della fede” e di altre osservazioni simili. Nulla può calmare (il nostro eccitato), che non esamini la questione dicendo: “È possibile o no? Dio ha potuto insegnare ad uno dei suoi protetti (awliyâ), ciò che si esprime nella sua creazione - come fu il caso di al-Khadir - e fornirgli delle «scienze che provengono da Lui» la cui espressione sarebbe simile a quella di cui il Messaggero di Dio - sulla grazia e la pace – faceva uso (per esprimere la stessa realtà)?”.
Come al-Khadir stesso affermava: “non l’ho fatto di mia iniziativa (o da me stesso)” (Cor. 18:82). Eppure il nostro contraddittore ha affermato di credere in queste realtà quando erano espresse dal Profeta!
Per Dio, se così fosse stato, non avrebbe rimproverato al santo di utilizzare riguardo alla Divina Maestà formulazioni come «assise», «discesa», «accompagnamento», «ridere», «gioia», «allegria», «stupore» ed espressioni simili, perché non è riferito da nesuna parte che il Profeta ne abbia interdetto l'uso ai servitori di Dio. Egli ci ha anche informato che Dio ci intimava: “Avete nel Messaggero di Allah un eccellente esempio” (Cor.33. 21)! e anche: “Conformatevi a me, Dio vi amerà di più (Cor. 3: 31)! Convincendoci così a imitarlo e raccomandandocelo ancor più! Ora, i propositi (di questo santo) provengono da altro che l’imitazione e la conformità all'esempio?
Se una interpretazione veridica proveniente da Dio ci penetra lo spirito insegnandoci una scienza da Lui proveniente, imprime misericordia come ricompensa da parte Sua e di sollecitudine, poiché ci troviamo nella situazione di colui che si applica su una prova (bayyina) del suo Signore, corroborata dalla sua testimonianza (shâhidun) (allusione al versetto del Corano 11:17: “colui che si basa su una prova (bayyina) proveniente dal suo Signore e che un testimone (shâhidun) da Lui inviato  [gli] recita? Prima di esso c'era stata la Scrittura di Mosè”), che non è altro che la nostra conformità con la Sunna del Profeta e la sua legge che non abbiamo sfigurato dichiarando lecito ciò che è proibito o proibito ciò che è lecito, questo rileva della conformità al suo esempio (al-ta’assi bihi)?
Stiamo semplicemente cercando (di esprimere) questa conoscenza che abbiamo da Dio, di espressioni simili a quelle del Profeta, soprattutto se ci pongono delle questioni a questo riguardo.
Perché Dio ci ha fatto sapere, relativamente a colui che risponde a una tale descrizione, che egli invita (gli uomini) a Dio scientemente (‘alâ basîra). Applicare a queste idee (lett: significati) le parole stesse del Profeta rientra quindi nell'ambito dell'imitazione raccomandata, perché se ne esistessero di più espressive, le avrebbe necessariamente impiegate, lui, che era tenuto ad esporre chiaramente ciò che ci è stato rivelato con la sua intermediazione. E per ragioni di chiarezza, non possiamo noi distogliercene, anche nella convinzione che “nulla gli somiglia” (Cor. 11:42) perché, se rinunciamo alle formulazioni profetiche per far ricorso ad altre, pretendiamo implicitamente di essere, riguardo Dio, più sapienti dell’Inviato di Dio stesso e avere più di lui l’attenzione per la trascendenza! Esiste peggiore mancanza di questo?
Inoltre, tali espressioni (significati, ma’ânî) devono inevitabilmente sfuggire all'ascoltatore che ascolta formulazioni diverse rispetto a quelle che utilizzava questo sommo di eloquenza che era l’Inviato di Dio e il Corano, non ci danno il significato (di queste espressioni) in virtù di una corrispondenza (tra le parole). Inoltre, la Legge ci raccomanda l’imitazione pura e semplice.
Il nostro pensatore che è all'origine di questi anatemi (mukaffir) - e di tutta questa «teologia» (hâdhâ) - ha dunque perso di vista tutto quello che abbiamo appena messo a punto per una di queste due ragioni:
Se si tratta di un sapiente (‘âlim) è probabilmente l'invidia (che ha portato a questa negazione), Dio non dice (che sono) “guidati dalla gelosia” (Cor. 2:109: “Numerosi tra la gente del Libro e i politeisti, dopo che la Verità gli è chiaramente apparsa, guidati dalla gelosia, fare ritorno alla miscredenza”).
Quanto all’ignorante, è a fortiori ancora più ignoranti (del teologo) di tutto ciò che è la profezia.

Tratto da: http://esprit-universel.over-blog.com




[1] Muhyî-d-Dîn Ibn Arabî, Estratti dal cap. 30 delle Futûhât: “Delle due categorie di Poli «cavalieri del deserto»”, tradotti da A.Penot

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