"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

mercoledì 21 maggio 2014

René Guénon, L'esoterismo di Dante. III - Parallelismi massonici ed ermetici

René Guénon
L'esoterismo di Dante

III - Parallelismi massonici ed ermetici

Dopo le considerazioni generali che abbiamo appena esposto, è tempo di ritornare a quei parallelismi particolari segnalati da Aroux,[1] ai quali alludevamo prima: «L’Inferno rappresenta il mondo profano, il Purgatorio comporta le prove iniziatiche, e il Cielo è la residenza dei Perfetti, nei quali si trovano riuniti e portati alla loro acme l’intelligenza e l’amore ... Il giro celeste descritto da Dante[2] inizia con gli alti Serafini, che sono i Principi celesti, e finisce con gli ultimi ranghi del Cielo.
Ora, si dà il caso che alcuni dignitari inferiori della Massoneria scozzese, che sostiene di risalire ai Templari, dei quali Zerbino, il principe scozzese amante di Isabella di Galizia, è la personificazione nell’Orlando Furioso di Ariosto, si attribuiscano lo stesso titolo di principi, Principi di Mercy; che la loro assemblea, o capitolo, si chiami Terzo Cielo; che essi abbiano come simbolo un Palladio, o statua della Verità, vestita come Beatrice dei tre colori verde, bianco e rosso[3]; che il loro Venerabile (dal titolo di Principe Eccellentissimo), con in mano una freccia e sul torace un cuore inscritto in un triangolo,[4] sia una personificazione dell’Amore; che il misterioso numero nove, che era “in tanto amico di” Beatrice – Beatrice “che bisogna chiamare Amore”, dice Dante nella Vita nuova ‑, sia del pari attribuito a questo Venerabile, circondato da nove colonne, da nove candelabri a nove bracci e a nove luci, dell’età di ottantuno anni, multiplo (o più esattamente quadrato) di nove: analogamente, si presume Beatrice sia morta nell’ottantunesimo anno del secolo».[5]
Il grado di Principe di Mercy, o Scozzese Trinitario, è il ventiseiesimo del Rito Scozzese; ecco come ne parla il Fr. Boully, nel suo Explication des douze écussons qui représentent les emblèmes et les symboles des douze grades philosophiques du Rite Écossais dit Ancien et Accepté (dal 19° al 30°): «Questo grado è, a nostro avviso, il più complesso di tutti quelli che compongono questa sapiente categoria: pertanto prende il soprannome di Scozzese Trinitario[6]. In effetti, in questa allegoria tutto offre l’emblema della Trinità: il fondo a tre colori [verde, bianco e rosso], la figura della Verità in basso, e dappertutto, infine, questo indizio della Grande Opera della Natura [alle cui fasi alludono i tre colori], degli elementi costitutivi dei metalli [zolfo, mercurio e sale],[7] della loro fusione, della loro separazione [solve et coagula], in una parola della scienza della chimica minerale [o meglio dell’alchimia], della quale Ermete fu il fondatore presso gli Egizi, e che tanta potenza ed estensione diede alla medicina [spagirica].[8] Tant’è vero che le scienze costitutive della felicità e della libertà si succedono e si classificano in tale ordine mirabile, dando prova che il Creatore ha fornito gli uomini di tutto ciò che può lenire i loro mali e prolungare la loro permanenza sulla terra.[9] È soprattutto nel numero tre, così ben rappresentato dai tre angoli della lettera delta – della quale i cristiani hanno fatto il simbolo fiammeggiante della Divinità –, in quel numero tre che risale a tempi antichissimi,[10] che l’osservatore sapiente scopre la fonte prima di tutto ciò che colpisce il pensiero, arricchisce l’immaginazione, e dona una giusta concezione dell’eguaglianza sociale ... Non desistiamo dunque, o nobili Cavalieri, dal rimanere Scozzesi Trinitari, dal mantenere e onorare il numero tre come 1’emblema di tutto ciò che costituisce i doveri dell’uomo, e ricorda nel contempo la diletta Trinità del nostro Ordine, incisa sulle colonne dei nostri Templi: la Fede, la Speranza e la Carità».[11]
Ciò che va soprattutto considerato, in questo brano, è che il grado di cui si parla, come quasi tutti quelli che appartengono alla stessa serie, ha un significato prettamente ermetico;[12] in particolare, è bene prendere nota della connessione dell’ermetismo con gli Ordini di cavalleria. Non è questa la sede adatta per ricercare le origini storiche degli alti gradi dello Scozzesismo, né per discutere le controverse teorie sulla sua discendenza templare; ma in entrambi i casi, che vi sia stata una filiazione reale e diretta o semplicemente una ricostituzione, è comunque certo che la maggior parte di questi gradi, e anche di alcuni appartenenti ad altri riti, appaiono come le vestigia di organizzazioni che ebbero un tempo un’esistenza indipendente,[13] in particolare di quegli antichi Ordini di cavalleria la cui fondazione è legata alla storia delle Crociate, vale a dire di un’epoca in cui fra l’Oriente e l’Occidente non vi furono soltanto rapporti ostili, come credono coloro che si fermano alle apparenze, ma anche vivaci scambi intellettuali, scambi che si verificarono soprattutto proprio attraverso quegli Ordini. Occorre ammettere che gli elementi ermetici da questi assimilati siano stati mutuati dall’Oriente, o si deve invece pensare che essi possedessero già, fin dall’origine, un esoterismo di questo genere, e che sia stata la loro specifica iniziazione a renderli adatti a entrare in rapporto, su tale terreno, con gli orientali? È un quesito che, ancora una volta, non abbiamo la pretesa di risolvere; ma la seconda ipotesi, pur meno considerata della prima,[14] non ha niente d’inverosimile per chi riconosca l’esistenza, durante tutto il Medioevo, di una tradizione iniziatica prettamente occidentale; inoltre, – un motivo in più per accogliere questa ipotesi – alcuni Ordini fondati in seguito, e che non ebbero mai rapporti con l’Oriente, furono comunque portatori di un simbolismo ermetico, come quello del Vello d’Oro, il cui stesso nome è una chiara e possibile allusione a tale simbolismo. Comunque sia, all’epoca di Dante l’ermetismo era senz’altro presente nell’Ordine del Tempio, come pure la conoscenza di certe dottrine di origine sicuramente araba, che Dante stesso sembrava non ignorare, e che gli furono senza dubbio trasmesse anche per questa via; più avanti daremo spiegazioni su quest’ultimo punto.
Nel frattempo, torniamo alle concordanze massoniche menzionate dal commentatore, delle quali per ora abbiamo preso in considerazione soltanto una parte, poiché vi sono numerosi gradi dello Scozzesismo nei quali Aroux ritiene di poter rilevare una perfetta analogia con i nove cieli percorsi da Dante insieme a Beatrice. Ecco le corrispondenze indicate per i cieli dei sette pianeti: alla Luna corrispondono i profani; a Mercurio, i Cavalieri del Sole (28°); a Venere, il Principe di Mercy (26°, verde bianco e rosso); al Sole, il Grande Architetto (12°) o il Noachita (21°); a Marte, il Grande Scozzese di Sant’Andrea o Patriarca delle Crociate (29°, rosso con croce bianca); a Giove, il Cavaliere dell’Aquila bianca e nera o Kadosch (30°); a Saturno, la Scala d’oro degli stessi Kadosch. A dire il vero, alcune di queste corrispondenze ci sembrano dubbie; ed è sopratutto inammissibile che i profani risiedano nel primo cielo, quando il luogo che gli si addice non può che essere nelle «tenebre esteriori»; in effetti, non abbiamo forse già visto che è l’Inferno a rappresentare il mondo profano, mentre non si giunge ai diversi cieli, compreso quello della Luna, se non dopo aver superato le prove iniziatiche del Purgatorio? Sappiamo bene, tuttavia, che la sfera della Luna ha un rapporto particolare con il Limbo; ma questo riguarda tutt’altro aspetto del suo simbolismo, da non confondersi con quello secondo il quale viene rappresentata come il primo cielo. E difatti la Luna è al tempo stesso Janua Cœli e Janua Inferni, Diana ed Ecate;[15] gli antichi lo sapevano benissimo, e anche Dante non poteva sbagliarsi, né concedere ai profani una dimora celeste, foss’anche la più bassa di tutte.
Molto meno discutibile è invece l’identificazione delle figure simboliche viste da Dante: la croce nel cielo di Marte, l’aquila in quello di Giove, la scala in quello di Saturno.
Si può sicuramente accostare questa croce a quella che, dopo essere stata il segno distintivo degli Ordini cavallereschi, funge ancora da emblema in numerosi gradi massonici; situata nella sfera di Marte, non allude forse al carattere militare di questi Ordini, la loro apparente ragion d’essere, e al ruolo che svolsero esteriormente nelle spedizioni militari durante le Crociate?[16] Quanto agli altri due simboli, è impossibile non riconoscervi quelli del Kadosch Templare; allo stesso tempo, l’aquila, che l’antichità classica attribuiva a Giove e gli indù a Vishnu,[17] fu l’emblema dell’antico Impero romano (ce lo ricorda la presenza di Traiano nell’occhio dell’aquila), ed è rimasta come emblema del Sacro Impero. Il cielo di Giove è la dimora dei «principi saggi e giusti»: «Diligite justitiam … qui judicatis terram»,[18] una corrispondenza che, come tutte quelle offerte da Dante a proposito degli altri cieli, si spiega completamente con ragioni astrologiche; e il nome ebraico del pianeta Giove è Tsedek, che significa «giustizia». Quanto alla scala dei Kadosch, ne abbiamo già parlato: poiché la sfera di Saturno è posta subito sopra quella di Giove, si giunge alla base di questa scala attraverso la Giustizia (Tsedakah) e alla sua sommità attraverso la Fede (Emounah). Il simbolo della scala è probabilmente di origine caldea, portato in Occidento con i misteri di Mitra: vi erano sette gradini, ciascuno composto di un metallo diverso, secondo la corrispondenza dei metalli con i pianeti; d’altronde, nel simbolismo biblico, come si sa, la scala di Giacobbe che congiunge la terra al cielo ha lo stesso significato.[19]
«Secondo Dante, l’ottavo cielo del Paradiso, il cielo stellato (o delle stelle fisse), è il cielo dei Rosa-Croce: qui i Perfetti sono vestiti di bianco; vi espongono una simbologia analoga a quella dei Cavalieri di Heredom;[20] professano la “dottrina evangelica”, la stessa di Lutero, in opposizione alla dottrina cattolica romana». Questa è l’interpretazione di Aroux, che testimonia la confusione, in lui ricorrente, fra i due domini dell’esoterismo e dell’essoterismo: l’esoterismo autentico deve porsi al di là delle opposizioni che si affermano nei movimenti esteriori che agitano il mondo profano, e, se tali movimenti sono a volte suscitati o diretti in modo invisibile da potenti organizzazioni iniziatiche, si può dire che queste ultime li governano senza mescolarvisi, così da esercitare in egual modo la loro influenza su ciascuna delle parti avverse. È vero che i protestanti, e in particolare i Luterani, hanno l’abitudine di usare il termine «evangelico» per designare la propria dottrina, com’è altresì noto che il sigillo di Lutero presentava una croce al centro di una rosa; e sappiamo che l’organizzazione rosacrociana che manifestò pubblicamente la propria esistenza nel 1604 (quella con cui Cartesio tentò invano di mettersi in contatto) si dichiarava nettamente «antipapista». È tuttavia necessario dire che la Rosa-Croce degli inizi del XVII secolo era già assai esteriore, e distante rispetto all’autentica Rosa-Croce delle origini, che non si costituì mai in società nel senso stretto del termine; quanto a Lutero, sembra essere stato solo una specie di agente subalterno, senza dubbio assai poco consapevole del ruolo che era stato chiamato a svolgere; d’altronde, tali questioni non sono mai state del tutto chiarite.
Comunque sia, gli abiti bianchi degli Eletti o dei Perfetti, malgrado l’evidente richiamo a certi testi apocalittici,[21] ci sembrano essere soprattutto un’allusione al costume dei Templari; a questo proposito esiste un passo particolarmente significativo:

Qual è colui che tace e dicer vole,
mi trasse Beatrice, e disse: «Mira
quanto è ‘l convento de le bianche stole!».[22]

La nostra interpretazione, del resto, consente di dare un senso molto preciso all’espressione «milizia santa», che troviamo poco oltre, in versi che sembrano alludere alla trasformazione subita dal Templarismo, dopo la sua apparente distruzione, nel dare origine al Rosacrocianesimo:

In forma dunque di candita rosa
Mi si mostrava la milizia santa,
che nel suo sangue Cristo fece sposa…[23]

Affinché sia più chiaro di quale simbolismo si tratta nell’ultima citazione ripresa da Aroux, ecco la descrizione della Gerusalemme Celeste, raffigurata nel Capitolo dei Sovrani Principi Rosa-Croce, dell’Ordine di Heredom di Kilwinning o Ordine Reale di Scozia, anche chiamati Cavalieri dell’Aquila e del Pellicano: «Al fondo (dell’ultima stanza) c’è un quadro in cui si vede una montagna da cui scende un fiume, sulla cui riva cresce un albero carico di dodici specie di frutti. In cima alla montagna c’è una sorta di zoccolo composto da dodici pietre preziose disposte in dodici strati. Sopra allo zoccolo c’è un quadrato d’oro; che porta su ciascun lato tre angeli con i nomi di ciascuna delle dodici tribù d’Israele. All’interno del quadrato c’è una croce, al cui centro è coricato un agnello».[24] Ci troviamo dunque nell’ambito del simbolismo apocalittico, e quel che segue mostrerà fino a che punto le concezioni cicliche alle quali esso fa riferimento sono intimamente legate alla struttura stessa dell’opera di Dante.
«Nei canti XXIV e XXV del Paradiso ritroviamo il triplice bacio del Principe Rosa-Croce, il pellicano, le tuniche bianche – le stesse dei vegliardi dell’Apocalisse –, i bastoncini di ceralacca, le tre virtù teologali dei Capitoli massonici (Fede, Speranza e Carità);[25] il fiore simbolico dei Rosa-Croce (la Rosa candida dei canti XXX e XXXI) è stato adottato dalla Chiesa di Roma come figura della Madre del Salvatore (Rosa mystica delle litanie), e da quella di Tolosa (gli Albigesi) come il simbolo misterioso dell’assemblea generale dei Fedeli d’Amore. Queste metafore erano già utilizzate dai Paoliziani, predecessori dei Catari nei secoli X e XI».
Ci è parso utile riportare questi accostamenti, che sono interessanti, e che si potrebbero ulteriormente moltiplicare senza grande difficoltà; al tempo stesso, eccettuati i casi del Templarismo e del Rosacrocianesimo originale, non si dovrebbero trarre conclusioni troppo rigorose riguardo a una filiazione diretta delle differenti forme iniziatiche che presentano una certa comunanza di simboli. In effetti, non soltanto il fondamento delle dottrine è sempre e ovunque il medesimo ma, ciò che a prima vista può sembrare stupefacente, il modo stesso di esprimersi offre sovente delle sconvolgenti similitudini, e questo per tradizioni troppo lontane nel tempo e nello spazio perché sia accettabile un’influenza diretta delle une sulle altre; in casi del genere sarebbe senza dubbio necessario, per scoprire un collegamento reale, risalire molto più in là di quanto ci consenta la storia.
D’altra parte, commentatori come Rossetti e Aroux, nei loro studi sul simbolismo dell’opera di Dante, si sono fermati a un aspetto che potremmo definire esteriore; vale a dire che si sono attenuti a ciò che volentieri chiameremmo il lato ritualistico, a forme che, per coloro che sono incapaci di guardare oltre, nascondono il significato profondo, invece di esprimerlo. E, come è stato detto giustamente, «è naturale che sia così, perché per poter accorgersi ed intendere le allusioni ed i riferimenti convenzionali od allegorici occorre conoscere l’oggetto dell’allusione o dell’allegoria; ed in questo caso occorre conoscere le esperienze mistiche per le quali passa il miste e l’epopto della vera iniziazione. Per chi ha una qualche esperienza del genere non vi ha dubbio sopra l’esistenza nella Commedia e nell’Eneide di una allegoria metafisico-esoterica, che vela ed espone le successive fasi per cui passa la coscienza dell’iniziando, per divenire immortale».[26]



[1] Citiamo il compendio delle opere di Aroux compilato da Sédir, Histoire des Rose-Croix, Paris, 1910, pp. 16-20; 2a ediz., pp. 13-17. I titoli delle opere di Aroux sono: Dante hérétique, révolutionnaire et socialiste (uscito a Parigi nel 1854 e ripubblicato nel 1939), e La Comédie de Dante, traduite en vers selon la lettre et commentée selon l’esprit, suivie de la Clef du langage symbolique des Fidèles d’Amour (Paris, 1856‑1857). 
[2] Paradiso, VIII. 
[3] È quanto meno curioso che proprio questi tre colori siano diventati, nell’età moderna, i colori della nazione italiana; del resto a questi si attribuisce in genere un’origine massonica, benché sia difficile sapere donde l’idea sia stata tratta direttamente. 
[4] A questi segni distintivi dobbiamo aggiungere «una corona dorata con le punte a forma di freccia». 
[5] Si veda Light on Masonry, Utica, N.Y., 1829, p. 250, e il Manuel Maçonnique del Fr. . Vuilliaume, cit., pp. 179-182. 
[6] Dobbiamo ammettere di non riuscire a vedere quale rapporto possa mai esistere fra la complessità del grado e la sua denominazione. 
[7] Questa terna alchemica è sovente assimilata a quella degli elementi costitutivi dell’essere umano stesso: spirito, anima e corpo. 
[8] Le parole fra parentesi quadre sono state aggiunte da noi per rendere il testo più comprensibile. 
[9] In queste ultime parole possiamo cogliere una velata allusione all’«elisir di lunga vita» degli alchimisti. Il grado precedente (25°), quello di Cavaliere del Serpente di Bronzo, era presentato come «contenente una parte del primo grado dei Misteri egizi, da cui viene l’origine della medicina e la grande arte di preparare i medicamenti». 
[10] Non c’è dubbio che l’autore intenda dire: «Il cui impiego simbolico risale a tempi antichissimi», poiché non possiamo supporre che abbia preteso di attribuire un’origine cronologica al numero tre in quanto tale. 
[11] I tre colori del grado sono talvolta interpretati come simboli delle tre virtù teologali: quindi il bianco rappresenta la Fede, il verde la Speranza, il rosso la Carità (o l’Amore). Le insegne del grado di Principe di Mercy sono: un grembiule rosso nel centro del quale è dipinto o ricamato un triangolo bianco e verde, e un cordone con i tre colori dell’Ordine, portato al collo, al quale è appeso come gioiello un triangolo equilatero (o delta) in oro (Manuel maçonnique del Fr. . Vuilliaume, cit., p. 181). 
[12] Un eminente Massone che pare più versato nella scienza assolutamente moderna e profana chiamata «storia delle religioni» che nella vera conoscenza iniziatica, il conte Goblet d’Alviella, ha ritenuto di poter dare di questo grado puramente ermetico e cristiano un’interpretazione buddhista, con il pretesto che vi sarebbe una certa somiglianza fra il titolo di Principe di Mercy e quello di Signore della Compassione. 
[13] Così, è davvero esistito un Ordine dei Trinitari o Ordine di Mercy, che aveva lo scopo, perlomeno esteriore, di riscattare i prigionieri di guerra. 
[14] Alcuni sono arrivati ad attribuire al blasone, i cui rapporti con il simbolismo ermetico sono piuttosto stretti, un’origine esclusivamente persiana, mentre, in realtà, il blasone esisteva fin dall’antichità presso un gran numero di popoli, tanto occidentali quanto orientali, in particolare presso i popoli celtici. 
[15] Questi due aspetti corrispondono anche alle due porte solstiziali; vi sarebbe molto da dire su tale simbolismo, che gli antichi Latini avevano condensato nella figura di Janus. D’altra parte, si dovrebbero fare delle distinzioni fra gli Inferni, il Limbo e le «tenebre esteriori» di cui si parla nel Vangelo; ma ci porterebbe troppo lontano, senza peraltro modificare nulla di quanto stiamo dicendo in questa sede, dove il nostro intento è semplicemente quello di separare, in modo generico, il mondo profano dalla gerarchia iniziatica. 
[16] Si può inoltre osservare che il cielo di Marte è rappresentato come la dimora dei «martiri della religione»; in questi stessi termini, Marte e martiri, possiamo scorgere una sorta di gioco di parole di cui è possibile trovare altrove ulteriori casi: ad esempio, collina di Montmartre fu un tempo il Monte di Marte prima di diventare il Monte dei Martiri. Accenneremo brevemente, a questo proposito, un altro fatto piuttosto strano: i nomi dei tre martiri di Montmartre, Dionigi (Dionysos), Rustico ed Eleuterio sono tre nomi di Bacco. Inoltre san Dionigi, considerato il primo vescovo di Parigi, viene comunemente identificato con san Dionigi l’Areopagita e, ad Atene, l’Areopago era anche il Monte di Marte. 
[17] Il simbolismo dell’aquila nelle differenti tradizioni richiederebbe di per sé uno studio specifico. 
[18] Paradiso, XVIII, 91-93. 
[19] È interessante osservare che san Pier Damiano, con il quale Dante s’intrattiene nel cielo di Saturno, figura nella lista (in gran parte leggendaria) degli Imperatores Rosæ-Crucis fornita nel Clypeum Veritatis di Irenaeus Agnostus (1618). 
[20] L’Ordine di Heredom di Kilwinning è il Grande Capitolo degli alti gradi connessi alla Gran Loggia Reale d’Edimburgo e fu fondato, secondo la tradizione, dal re Robert Bruce (Thory, Acta Latomorum, Paris, 1815, tomo I, p. 317). La parola inglese Heredom (o heirdom) significa «eredità» (dei Templari); tuttavia, per alcuni questa designazione viene dall’ebraico Harodim, titolo riservato a coloro che dirigevano gli operai impiegati nella costruzione del Tempio di Salomone (si veda a questo proposito il nostro articolo nella rivista «Études Traditionnelles», marzo 1948). 
[21] Apocalisse, 7, 13-14. 
[22] Paradiso, XXX, 127-129. Da notare, in questo passo, che la parola «convento» è rimasta in uso nella Massoneria per designare le sue grandi assemblee. 
[23] Paradiso, XXXI, 1-3. L’ultimo verso può riferirsi al simbolismo della croce rossa dei Templari. 
[24] Manuel Maçonnique di Fr. . Vuilliaume, cit., pp. 143-144. Cfr. Apocalisse, 21. 
[25] Nei capitoli di Rosa-Croce (18° grado scozzese), i nomi delle tre virtù teologali sono associati rispettivamente ai tre termini del motto «Libertà, Eguaglianza, Fraternità»; si potrebbero anche accostare a quelli che vengono definiti «i tre pilastri principali del Tempio» nei gradi simbolici: «Saggezza, Forza, Bellezza». Dante fa corrispondere a queste tre virtù san Pietro, san Giacomo e san Giovanni, i tre apostoli che assistettero alla Trasfigurazione. 
[26] Reghini, art. cit., pp. 545-546.

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