"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

mercoledì 28 maggio 2014

René Guénon, L'esoterismo di Dante. VI - I tre mondi

René Guénon
L'esoterismo di Dante

VI - I tre mondi

La distinzione dei tre mondi, che costituisce il piano generale della Divina Commedia, è comune a tutte le dottrine tradizionali, ma assume forme diverse, e anche in India ve ne sono due che non coincidono tra loro, pur non essendo in contraddizione, e che corrispondono soltanto a punti di vista diversi.
Secondo una di queste divisioni, i tre mondi sono gli Inferi, la Terra e i Cieli; secondo l’altra, in cui gli Inferi non compaiono più, essi sono la Terra, l’Atmosfera (o regione intermedia) e il Cielo. Nella prima, bisogna riconoscere che la zona intermedia è considerata un semplice prolungamento del mondo terrestre: è così che in Dante appare il Purgatorio, che può essere identificato a questa regione.
D’altra parte, tenendo conto di questa assimilazione, la seconda divisione è equivale rigorosamente alla distinzione fatta dalla dottrina cattolica tra la Chiesa militante, la Chiesa sofferente e la Chiesa trionfante; anche qui non si parla dell’Inferno. Infine, spesso i Cieli e gli Inferi, hanno suddivisioni in numero variabile; ma in tutti i casi si tratta sempre di una ripartizione gerarchica dei gradi dell’esistenza, che sono realmente di una molteplicità indefinita e possono essere classificati in modi diversi secondo le corrispondenze analogiche prese come base per una rappresentazione simbolica.
I Cieli sono gli stati superiori dell’essere; gli Inferi, come indica del resto il loro nome, sono gli stati inferiori, e quando diciamo superiori e inferiori ciò va inteso in rapporto allo stato umano o terreno, che naturalmente è preso come termine di paragone, giacché deve servire da punto di partenza. Dato che la vera iniziazione è una presa di possesso cosciente degli stati superiori, è facile capire perché essa sia descritta simbolicamente come un’ascesa o un «viaggio celeste»; ci si potrebbe però chiedere perché questa ascesa debba essere preceduta da una discesa agli Inferi. Le ragioni sono numerose, e non potremmo esporle compiutamente senza dilungarci troppo, il che ci porterebbe molto lontano dall’argomento specifico del nostro studio; diremo solo questo: da un lato, la discesa è come una ricapitolazione degli stati che precedono logicamente lo stato umano, che ne hanno determinato le condizioni particolari e che devono a loro volta partecipare alla «trasformazione» da compiersi; d’altro lato, essa permette la manifestazione, secondo certe modalità, delle possibilità di ordine inferiore che l’essere porta ancora in sé allo stato non-sviluppato, e che devono essere da lui esaurite prima che gli sia possibile giungere alla realizzazione dei suoi stati superiori. Bisogna d’altronde sottolineare che non si tratta affatto di tornare a certi stati attraverso i quali l’essere è già passato; egli può esplorare questi stati solo in maniera indiretta, prendendo coscienza delle tracce che essi hanno lasciato nelle regioni più oscure dello stato umano; perciò gli Inferi sono rappresentati simbolicamente come situati all’interno della Terra. Invece i Cieli sono realmente gli stati superiori, e non soltanto il loro riflesso nello stato umano, i cui prolungamenti più elevati non costituiscono che la regione intermedia o il Purgatorio, la montagna in cima alla quale Dante colloca il Paradiso terrestre. Il fine reale dell’iniziazione non è solo la restaurazione dello «stato edenico», che altro non è se non una tappa sulla via che deve condurre molto più in alto, poiché è al di là di questa tappa che inizia veramente il «viaggio celeste»; il fine è la conquista attiva degli stati «sovra-umani », giacché, come Dante ripete con le parole del Vangelo, «Regnum cœlorum violentia pate...»,[1] ed è questa una delle differenze essenziali esistenti tra gli iniziati e i mistici. Per esprimerci in altro modo, diremo che lo stato umano deve essere portato innanzitutto alla pienezza della sua espansione, con la realizzazione integrale delle possibilità che gli sono proprie (e questa pienezza è quanto si deve qui intendere per «stato edenico»); ma, lungi dall’essere il termine, ciò non sarà che la base sulla quale l’essere poggerà per «salire a le stelle»,[2] ossia per elevarsi agli stati superiori, che nel linguaggio dell’astrologia sono simboleggiati dalle sfere planetarie e stellari, e in quello della teologia dalle gerarchie angeliche. Bisogna dunque distinguere due periodi nell’ascesa, ma il primo, in verità, è un’ascesa solo in rapporto all’umanità ordinaria: l’altezza di una montagna, quale che sia, è sempre nulla in confronto alla distanza che separa la Terra dai Cieli; in realtà, è piuttosto un’estensione, poiché è lo sviluppo completo dello stato umano. Il dispiegamento delle possibilità dell’essere totale si compie così prima di tutto nel senso dell’«ampiezza», poi in quello dell’«esaltazione», per servirci di termini presi dall’esoterismo islamico; aggiungeremo inoltre che la distinzione tra i due periodi corrisponde alla divisione antica fra «piccoli misteri» e «grandi misteri».
Le tre fasi alle quali si riferiscono rispettivamente le tre parti della Divina Commedia possono anche essere spiegate attraverso la teoria indù dei tre guna, che sono le qualità, o meglio le tendenze fondamentali, dalle quali procede ogni essere manifestato; a seconda che l’una o l’altra di queste tendenze predomini in loro, gli esseri si distribuiscono gerarchicamente nell’insieme dei tre mondi, cioè di tutti i gradi dell’esistenza universale. I tre guna sono: sattwa, la conformità all’essenza pura dell’Essere, che è identica alla luce della Conoscenza, simboleggiata dalla luminosità delle sfere celesti che rappresentano gli stati superiori; rajas, l’impulso che provoca l’espansione dell’essere in uno stato determinato, quale lo stato umano, o, se si vuole, il dispiegamento di quell’essere a un certo livello dell’esistenza; infine tamas, l’oscurità, assimilata all’ignoranza, radice tenebrosa dell’essere considerato nei suoi stati inferiori. Così sattwa, che è una tendenza ascendente, si riferisce agli stati superiori e luminosi, ossia ai Cieli, e tamas, che è una tendenza discendente, agli stati inferiori e tenebrosi, ossia agli Inferi; rajas, che si potrebbe rappresentare con un’estensione in senso orizzontale, si riferisce al mondo intermedio, che è qui il «mondo dell’uomo», poiché è il nostro grado d’esistenza che prendiamo come termine di paragone e che deve essere visto come comprendente la Terra insieme con il Purgatorio, cioè l’insieme del mondo corporeo e del mondo psichico. Si può vedere come ciò corrisponda esattamente al primo dei due modi di considerare la divisione dei tre mondi menzionati in precedenza; e il passaggio dall’uno all’altro di quei tre mondi può essere descritto come risultante da un cambiamento nella direzione generale dell’essere, o da un cambiamento del guna predominante in lui che determina quella direzione. Esiste un testo vedico in cui i tre guna sono presentati come mutantisi l’uno nell’altro procedendo secondo un ordine ascendente: «Tutto era tamas: Egli (il Supremo Brahma) ordinò un cambiamento, e tamas assunse il colore (cioè la natura) di rajas (elemento intermedio tra l’oscurità e la luminosità); e rajas, avendo ricevuto di nuovo un comando, assunse la natura di sattwa». Questo testo fornisce una sorta di schema dell’organizzazione dei tre mondi, a partire dal caos primordiale delle possibilità, e conformemente all’ordine di generazione e di concatenamento dei cicli dell’esistenza universale. D’altronde ogni essere, per realizzare tutte le sue possibilità, deve passare, in ciò che lo riguarda in particolare, attraverso gli stati che corrispondono rispettivamente a quei diversi cicli, ed è per questo che l’iniziazione, che ha come fine la realizzazione totale dell’essere, si compie necessariamente attraverso le stesse fasi: il processo iniziatico riproduce rigorosamente il processo cosmogonico, secondo l’analogia costitutiva del Macrocosmo e del Microcosmo.[3]


[1] Paradiso, XX, 94. 
[2] Purgatorio, XXXIII, 145. È significativo che le tre parti del poema finiscano tutte con la stessa parola: stelle, come per affermare l’importanza particolare che aveva per Dante il simbolismo astrologico. Le ultime parole dell’Inferno, «riveder le stelle», caratterizzano il ritorno allo stato propriamente umano, dal quale possibile percepire una sorta di riflesso degli stati superiori; le ultime del Purgatorio sono quelle stesse che spieghiamo qui. Quanto al verso finale del Paradiso: «L’amor che move il sole e l’altre stelle», esso designa, come termine ultimo del «viaggio celeste», il centro divino che è al di là di tutte le sfere, ossia, secondo l’espressione di Aristotile, il «motore immobile» di tutte le cose; il nome «Amore» che gli è attribuito potrebbe dar luogo a considerazioni interessanti, in rapporto con il simbolismo particolare dell’iniziazione degli Ordini cavallereschi. 
[3] La teoria dei tre guna, riferendosi a tutte le modalità possibili della manifestazione universale, si presta naturalmente a molteplici applicazioni; una di queste, che riguarda soprattutto il mondo sensibile, si trova nella teoria cosmologica degli elementi; ma qui noi dobbiamo considerare solo il significato più generale, poiché si tratta soltanto di spiegare la ripartizione di tutto l’insieme della manifestazione secondo la divisione gerarchica dei tre mondi, e di indicare l’importanza di questa ripartizione dal punto di vista iniziatico.

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