"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

sabato 11 aprile 2015

‘Abdul-Hâdî - Ivan Agueli, Pagine dedicate al Sole (Sahâif shamsiyah)

Abdul-Hâdî - Ivan Agueli
Pagine dedicate al Sole (Sahâif shamsiyah)*

* Articolo tratto dal N. 2, febbraio 1911, della rivista La Gnose.

La scuola araba dell'esoterismo musulmano, - la quale è ben distinta dalla corrispondente scuola persiana - è essenzialmente sintetica. Essa è senza dubbio il piu bell'esempio di quello che mi permetto di chiamare il «misticismo lucido». Essa è non soltanto scolastica, o meglio, ma anche psicologica e, prima ancora, naturale o primitiva.
In altre parole, essa considera l'uomo e la natura come libri sacri alla stessa stregua della rivelazione storicao scritturale, espressa nella lingua concisadei Semiti. I passi del Corano che confortano questa asserzione sono troppo numerosi perché sia possibile citarli al di fuori di una controversia specifica. Meno noto è che i grandi Maestri dell’esoterismo musulmano indicano con i termini «epistola» (Risâlah), «esemplare» (Nuskah) e «libro» (Kitâb), tre aspetti diversi dell'iniziato.
La geografia ci insegna che i paesi arabo-eritrei sono caldi e secchi, e che i loro abitanti eccellono per le loro facoltà liriche. Ciò è sufficiente, da un punto di vista documentario, per rendere conto della loro filosofia religiosa. L'intensità lirica porta a uno stato mentale di «soggettività» che si traduce in una sorta di entusiasmo nativo accompagnato da una buona dose di scetticismo e di sottigliezza. «Siate semplici come colombe e astuti come serpenti», dice da qualche parte il libro sacro dei Cristiani. Questi due atteggiamenti, che la vita moderna considera incompatibili, vanno invece molto ben d’accordo in un musulmano istruito e vecchio stile. Pieni di vitalità, essi amano. In quanto a tendenze intellettuali, sono un tantino «ideologi»; essi credono, cioè, che in fondo l'uomo non può sapere se non quel che dice[1]. Per loro, la dottrina del Logos non è tanto il prodotto di un fideismo religioso, quanto il risultato della coscienza soggiacente che il primitivo possiede dell'Insondabile. Poiché le parole e le cose collimano, i poeti trovano del tutto naturale che i misteri della creazione presentino analogie con quelli della parola. Di conseguenza la metafisica segue i movimenti della coscienza – soprattutto quando questa si risveglia per la prima volta, - e il funzionamento del pensiero diventa quasi interessante quanto il pensiero stesso. L'ignoranza e l'incoscienza finiscono col simboleggiare il nulla e la notte; in seguito ci si figura che il mondo nasca con il giorno. Quando i nostri primitivi non vedono niente, dicono che non c'è niente. Essere è essere visti, poi vedere, giacché è la luce che dà l'esistenza alle cose.
Il sole non soltanto rischiara il mondo, ma conferisce anche agli oggetti le loro forme rispettive. Il gran sole di laggiu qui è quasi sconosciuto; esso si vede appena, e per qualche giorno soltanto, nel corso di un’annata eccezionalmente favorevole per il bel tempo. Laggiù esso sfavilla con una forza tale che il suo splendore fa scomparire i colori locali, cosicché si vedono soltanto più i suoi, vale a dire si vede solo lui e nient'altro che lui. Il paesaggio muta in modo cosi veloce da sembrare solo un pretesto per una dimostrazione solare, o, se si vuole, per una teofania cosmomorfa. Tutto quel che si vede sono soltanto i riflessi del cielo; quel che i particolari del paesaggio possono essere, all'infuori della loro funzione di supporto dell'irraggiamento solare, è una questione che non ha piu nessun interesse.
Tutto, compresa la prospettiva, comprese le distanze e i rapporti delle cose tra di loro, dipende solo dall'astro radiante, il quale, padrone assoluto degli orizzonti, scolpisce le montagne a piacer suo e dispone, secondo la sua volontà immediata e architettonica, le masse dell'immensità. La potenza del Sole è la ragione della prospettiva cinese. Questa è estiva e assolutamente fedele. Piu il Sole dà, piu il cielo sembra alto e sorprendente, l'orizzonte vasto e profondo, mentre ciò che abbiamo al livello dei piedi, il primo piano, diventa neutro e si contrae. Nella prospettiva invernale, o nordica, si produce il fenomeno inverso. Qui è il primo piano che si sviluppa a spese degli altri; gli oggetti ravvicinati assumono una importanza enorme; l'orizzonte, che è al livello del nostro sguardo, si contrae e diminuisce; il cielo si abbassa.
Abbiamo detto che «essere, è risplendere». In linea di massima, un oggetto illuminato, o bianco, appare piu grande di quanto non sia in realtà. I pittori primitivi esagerano le proporzioni di tutto ciò che, in un quadro, ha un posto preponderante. Dal punto di vista dell'esoterismo musulmano, l'esistenza è una distinzione attenta, e la creazione è l'atto di precisare. Piu una cosa è caratterizzata da attributi, da qualificativi e da particolari, - espliciti o sottintesi, - piu è concreta, reale, «esistente», perché l'esistenza comporta gradazioni, dal nostro punto di vista. Un'idea si realizza a mano che le sue potenzialità latenti si dispiegano alla luce, che le sue risorse si impongono, e che tutte le sue energie entrano in gioco. Essa cresce in tutte le direzioni, si moltiplica indefinitamente, pur restando «Uno», vale a dire identica a se stessa. Il concetto di «unità nella pluralità e pluralità nell'unità»[2] occupa nell'esoterismo arabo-musulmano lo stesso posto che ha la croce per i Cristiani. Invece di scolpire la figura di un uomo morto disteso su due assi incrociati, noi diciamo che «la ‘stazione’ divina è quella che riunisce i contrasti e le antinomie»[3]. A questa «stazione», cioè a questo grado d'iniziazione, si giunge con «El-fanâ», vale a dire con l'annientamento dell'io inferiore. « El-fanâ» presenta del resto analogie con il «Nirvâna» indù, ma soltanto nel senso che la Bhagavad-Gita dà a questo termine, giacché « El-fanâ» può e deve farsi sentire nella vita di tutti i giorni. In questa accezione, esso si esplica come tolleranza, imparzialità, disinteresse, astrazione e sacrificio di se stessi, autodisciplina e fatalismo attivo.
Possiamo distinguere due aspetti dell'unità divina: 1) l'unità neutra e assoluta; 2) l'unità originaria che è il fondamento di tutti i numeri. Questi due aspetti sono, per così dire, i due lati grafici della cifra «uno»: l'incalcolabile zero, e l'incalcolabile indefinito. Dal punto di vista umano, l'unità assoluta è un'intuizione, alla quale l'intelligenza non può dare nessuna forma diretta o adatta. L'altra, quella che percorre i numeri moltiplicandoli fino all'(entità) incalcolabile, contiene tutti gli aspetti della Divinità, aspetti che la teologia pratica denomina «Asrâr rabbaniyyah» (misteri dominicali); essa è, dell' Assoluto, la superficie riflettente dalle innumerabili sfaccettature, che magnifica ogni creatura che vi si specchi direttamente. Tale unità è raffigurabile soltanto attraverso l'accento superlativo nell'apoteosi individuale. Senonché il mondo è, per sua propria natura, refrattario al postulato di tutti i Profeti della razza di Sem. Esso non capirà mai che l'estrema distinzione è realizzabile soltanto nell'estrema universalità, e che il parossismo dell'io può coincidere con il colmo dell'altruismo. Così come l'estetica dei piccoli intellettuali non è in grado di afferrare l'allucinante bellezza delle proporzioni 'semplici' che suddividono in pietre grezze il muro di un'antica fortezza saracena, cosi il borghese, per ragioni biologiche e anatomiche, è incapace di comprendere che la piu elevata aristocrazia che si possa concepire è un ideale da democratico illuminato.
Ciò che io pongo al disopra di tutto, che per me è tutto, quello è il mio Dio; Dio è ciò che mi distoglie da tutto ciò che non è Lui. Coloro che non sono capaci di raccogliersi su un punto qualsiasi dell' esistenza, sono quelli i soli atei, perché la fede, tutto sommato, non è che l'elevato distoglimento trascendente. Non c'è assolutamente nessun'altra ragione se non quella dell'intensità, e i suoi dogmi sono matematici.
Nello stesso tempo dobbiamo distinguere i due elementi della vita religiosa che sono formulati dall'unità e dal binario. « Uno», è il superlativo divino; è l'oggetto del culto dei veri monoteisti. «Due», è la reciprocità divina intorno alla quale si svolgono i misteri dominicali e il grande spettacolo della fantasmagoria universale. Le leggi di questo insieme di fenomeni caleidoscopici in fondo sono occulte; non si possono conoscere se non all'interno di noi stessi.
Nel nostro paesaggio, gli oggetti, quantunque effimeri, sono belli, perché portano una particella della bellezza della luce; piu contribuiscono alla luminosità irradiata dallo sfolgorio ambientale, piu partecipano della bellezza. Di per se stessi non sono nulla, e non esistono se non in quanto supporti della luce. Se si contemplano isolati possono sembrare reali, ma si tratta di un'illusione. Tuttavia quest'illusione non è diabolica, come vorrebbero certe scuole. Al contrario, essa è santa, a tal punto che la religione ci obbliga a crederci sotto pena di eresia e di castighi postumi. La Legge sacra dell'Islàm, la Shariyah (la grande Via, la Via Esteriore) circonda la vita materiale di riti, di cerimonie, di osservanze e di obblighi di diversa natura, unicamente per insegnarci che le cose esistono, in che modo esistono, e la giusta misura di rispetto dovuta alla loro esistenza[4]. Il diritto canonico dell'Islàm è, indubbiamente, un ordinamento sociale, ma è anche e soprattutto un magnifico trattato di simbolismo che espone qual è la posizione di tutte le cose nella gerarchia universale. La teologia speculativa dei grandi iniziatori arabi è tesa a provare che le cose sono teofore, col fine di interessarci alla vita materiale altrimenti che come bestie feroci. Mi permetto di far osservare che la pratica della religione porta a nozioni scientifiche in campo disciplinare e dottrinale, mentre la speculazione illuminata dei grandi Maestri produce una fiamma interiore che è la forza suprema di ogni attività.
Ma ritorniamo al paesaggio. Abbiamo constatato che l'eccesso di luce gli conferisce quell'aspetto di illusione fiabesca che gli è particolare; cosi che si ha l'impressione di aggirarsi fra cose non vere. Tutto vi è straordinario. Ogni giorno, - che dico, ogni ora - si guardano le medesime cose come se si vedessero per la prima volta. Sicché lo sguardo non finisce mai d'essere virgineo e fresco come le Huri dei giardini celesti[5], e l'anima non invecchia mai. È la perpetua unione dei contrasti che porta a bere alla fonte della Giovinezza, poiché il mondo ritrova il senso primigenio del puro e del candido in virtù della soluzione delle antitesi in magnifica serenità. La terra ha uno scintillio di mare che freme. L'elemento leggero e diafano, l'aria, è immobile e grave. Il Sole, che si ha direttamente sul capo, ci circonda da ogni parte come il castigo di un dio irritato, e l'ombra non esiste. Al suo posto ci sono brandelli di notte al chiaro della luna.

II

Credo di formulare correttamente i principi antologici dell'esoterismo arabo-musulmano, dicendo che l'Universo tangibile altro non è se non un'immensa allucinazione collettiva, ereditaria e inveterata. Si direbbe che il genere umano, autosuggestionato da generazioni, giochi alla seduta spiritica, e che gli avvenimenti piu gravi della storia umana o naturale, considerati di per se stessi,  non siano che i sussulti del tavolino che si anima. Non soltanto le nostre gioie e i nostri dolori sono semplici sensazioni false avallate da lunghe abitudini ancestrali, ma inoltre le convenzioni sensoriali di tutti gli uomini (o quasi tutti…) hanno conferito alla materia l'aspetto che essa ha oggi. Non è l'ambiente ad aver plasmato l'uomo. È l'uomo che ha plasmato l'ambiente a causa della cristallizzazione della sua coscienza soggiacente, rivolta sempre piu verso l'esterno. Quando, in seguito e di conseguenza, l'ambiente influisce sull'individuo, l'ambiente rappresenta solo lo strumento per mezzo del quale le collettività del passato e del presente si impadroniscono dell'individuo per ridurlo alla piu ignobile schiavitù, gli impediscono di vedere con i propri occhi, di
udire con le proprie orecchie, di agire seguendo la propria iniziativa e, soprattutto, di amare con il proprio cuore Esse lo rendono cosi vile che non merita neanche più di essere punito quando commetta dei crimini. Quando si parla dello Stato contro l'individuo, si è logici solo a metà. Quella che bisogna vedere, è l'intera umanità contro una sola persona, che si sia presa il gusto di spezzare la catena ipnotica della degenerazione psicointellettuale collettiva. L'elemento connettivo tra tutte queste abitudini servili è il tempo. Ora, il tempo in se stesso è sacro, perché è uno dei fondamenti del mondo, il quale è in principio la grande purezza, come del resto suggerisce il suo stesso nome. Esso è il fondamento della produzione seriale successiva, e una tradizione exoterica (Hadith) ci proibisce di dir male del secolo, perché «il secolo è Dio»[6]. D'altra parte, tutto ciò che è transitorio è vano e nullo. «Ed-dahru» (il secolo) assume qui il senso di tutti i secoli, vale a dire del tempo indefinito, del fato. Significa anche ciò che è invariabile nel corso dei secoli, ciò che è costante, e di conseguenza sempre vero. I Libri sacri sono talvolta chiamati «Dio», prima di tutto per ellisse[7], e poi perché raccontano avvenimenti che si possono magari mettere in dubbio dal punto di vista della storia antica, ma che capitano ogni giorno nel mondo interiore. Secondo quest’ordine di idee, la materia-prima di tutto quel che è chiamato dal volgo il soprannaturale - intendo dire il non-tempo - è compresa nella concezione logica del tempo, a titolo di antitesi dal valore negativo, cosi come il segno «meno» (-) in contabilità; è come se si dicesse: ± n[8].
Si sfugge alla tirannia della collettività mediante la disgregazione degli aspetti parziali del tempo. Passato, presente e futuro si uniscono per sostituzione in tempo immobile[9]. Ma non intendo, né devo, occuparmi di questi elementi della pedagogia dei sentimenti. Chi desidera conoscerli non ha che da aprire un qualsiasi catechismo di qualche «Tarîqah» o congregazione religiosa islamica[10].
I gradi superiori della scienza mistica del tempo, che consistono nella permutazione del tempo in spazio e viceversa, convengono meglio alle ricerche metafisiche. Innanzi tutto, la questione è piu astratta, più cerebrale, meno ricollegata all'esperienza personale. Poi, molti luminari della scienza, qualche volta anche universitari, hanno fatto ad essa riferimento in ammirevoli trattati sull'iperspazio. La quarta dimensione sarebbe uno stato mentale caratterizzato dall'ubiquità dell'uomo resa possibile dall'unificazione del tempo e dell'estensione. L'argomento è, nonostante le apparenze, logico, o meglio matematico, e qualunque artista serio è in grado di comprendere il problema quando cambia le sue impressioni successive in note simultanee, visto che la simultaneità
è già l'embrione di uno spazio. Ricordo queste cose tecniche e semplici unicamente per dare un quadro d'assieme dell'argomento che stiamo trattando[11]. L'iperspazio permette di intravedere il non-tempo, il quale a sua volta apre la porta verso la sola realtà che esista veramente nell'Universo tangibile. Due grandi uomini di razza, epoca e religione differenti hanno espresso questa realtà materiale che è al di sopra del piano siderale, e della quale il non-tempo si serve come di un veicolo,
con una formula cosi lapidaria che sarebbe un vandalismo voler la sostituire con un'altra.
Uno dei due è lo straordinario pensatore arabo-spagnolo Mohyiddin ibn Arabi[12], soprannominato a ragione «Esh-Shaikhul-Akbar», vale a dire «il piu grande di tutti i Maestri del pensiero musulmano». L'altro è l'ammirevole scrittore celtico Villiers de l'Isle-Adam. Credo che, fra tutti gli autori conosciuti, essi soli abbiano parlato della «sensazione dell'eternità»[13]. Entrambi indicano con questo termine un elemento indistruttibile e sottilissimo che Dio ha posto nell'anima di ogni essere e che gli è rigorosamente personale, sicché non possono mai essercene due identici. Noi lo chiamiamo «Es-Sirr» (=l'occulto, il mistero), perché è il segreto particolare tra ogni creatura e il suo Signore. Esso è un enigma la cui soluzione è demandata all'insieme degli sforzi vitali, per modo che costituisce un dovere cosmico di prim'ordine. Nessuno può sapere cosa c'è nel segreto divino di un altro, e qualsiasi offesa contro l'ineffabile marchio celeste che ogni essere porta nel profondo di se stesso è un crimine ben piu grave dell' omicidio. La legge che riconosce questo segreto, così come il suo carattere di inaccessibilità, garantisce la piu preziosa delle quattro libertà cardinali dell'uomo, in quanto espressione suprema della vita piu alta[14].
Quando l'uomo ha penetrato il suo segreto dominicale, incomincia a conoscere il Nome divino piu maestoso[15], il cui possesso permette l'accesso al santuario della fatalità. Allora egli percepisce, al di sopra dell'illusione collettiva, una sorta di stella, un punto fisso nel vuoto, in parte analogo a quello di Archimede. Per effetto della forza di tal rito ecumenico, per altro naturale, e di preghiere sul Profeta, questo punto di sviluppa e assume una forma umana, la quale, per irraggiamento, produce l'orizzonte d'un mondo nuovo in armonia con il posto che si occupa nell'eternità.
Tale è, in poche parole, quella che è chiamata «la cultura dell'io», e che noi indichiamo con l'espressione «El-Insanul-kâmil», ossia l'uomo universale.

DOCUMENTI
Ho raccolto il muschio fra le nevi, e visto lo splendore della foresta tropicale.
Sotto la fredda bruma, - In un gran palazzo oscuro, - Una dea di pietra nera dalla testa leonina - Mi ha fatto vedere il Sole d'Africa sulla sabbia rovente.
Leggevo i libri del Maestro prima di conoscere l'arabo. Lo vidi di persona prima di sapere il suo nome.


[1] Si vedano gli articoli sulla lingua sacra apparsi sulla rivista La Gnose

[2] El-wahdatu fil-kutrati wal kutratu fil-wahdati.

[3] El-maqâmul-ilahi, hua maqâm ijtimâ ad-diddaini.

[4] Gli iniziatori del Nord esortano a credere in Dio, perché Dio non si vede direttamente. Quelli del Sud hanno bisogno di esortare alla fede nelle cose. Entrambi spiegano l'invisibile secondo le circostanze.

[5] Il singolare maschile ahwaru significa «dall'occhio nerissimo».

[6] Ed-dahru Allah.

[7] (Il Libro di) Dio.

[8] Il non-tempo non è una «figura linguistica », poiché indica una sostanza al di fuori della forma limitata che il tempo ha dato alla creazione. La chiamo «sostanza», perché è positiva dall'altra parte del limite, benché sia negativa al di qua di esso. Essa è tuttavia percettibile in questo mondo. Si può perfino esercitarsi a non sentire nient’altro che essa, ma non consiglio a nessuno un tale esercizio. Non soltanto lo spiritualismo semitico, ma addirittura le operazioni dei libri di magia, si fondano sul non-tempo. Lo studio dei fenomeni è però fuori dal quadro di questo mio studio.
Le idee astratte, senza le quali il pensiero non è possibile, si formano in seguito all'osservazione delle antitesi, e delle opposizioni. Con il calcolo esatto dei valori negativi o immaginari, si realizza l'iper-reale, che a torto viene chiamato il nulla. Tutta la speculazione semitica parte da una posizione negativa. Secondo la misura del tempo specifica di questa razza, la rivoluzione solare di 24 ore incomincia con la notte, a partire dal tramonto del sole, e continua con il giorno. Essi (i Semiti) non dicono «giorno e notte», ma «notte e giorno», così come nella Genesi è detto «sera e mattina».
Analogamente, la formula della dichiarazione di fede musulmana incomincia con una negazione: «Lâ ilâha» (=non c'è dio), a cui fa seguito un'affermazione: «Illallâh» ( = se non Allah) . L'inizio è nihilistico, la fine è mistica. Senonché, non bisogna confondere il misticismo lucido dell'«Identità suprema» con le scuole del passato e del presente, denominate abitualmente con i termini «misticismo», «neomisticismo», ecc. Qui la teologia è sostituita dalle matematiche.

[9] Si confronti La Gnose, rivista di studi esoterici, N. di gennaio 1911, pagg. 33-34.

[10] In attesa della riorganizzazione esteriore dell'antichissimo ordine Malâmatiyah, possono essere consultati con profitto i testi Shâdilîti, Qâdiriti o Naqshabendi. Gli autori Shâdilîti sono i piu degni di nota.

[11] Si veda la rivista Il Convito, Il Cairo, N. di luglio-agosto 1907, pag. 96 della sezione italiana e pag. roo 100 sezione araba: «Si comincia con volgere la successione in simultaneità. È ciò che chiamasi cangiar il tempo in spazio e viceversa ... Io ho scelto il termine piu generale, piu astratto e più metafisico. Ma il termine arabo corrente è: la facoltà di vedere il passato nel presente... » (Il passo tra virgolette è in italiano nel testo - N.d.T.) . A pag. 100 della sezione araba, scrivevo: «Tabdîluzzamâni ma kânan walaksu».

[12] Si confronti nella rivista Il Convito, la serie di arrticoli intitolata «El-Akbariyah»

[13] «El-Hissul-Azali». In qualche manoscritto si trova anche «El-Hissu bil-Azal», ma il contesto dà alle due formule un identico significato. Uno dei personaggi di Villiers dice: «La sensazione della mia eternità» (Morgane).

[14] Questa libertà, che in mancanza di una espressione migliore, io chiamo «la libertà dominicale», comporta le altre tre: la politica, l'intellettuale, e la sentimentale. Nel mondo queste quattro libertà sono rappresentate dall'Islàm, dall'Inghilterra celtica, dalla Francia e dall'Italia. Sia ben chiaro che l'Islàm, nel suo senso propriamente intellettuale e metafisico, non va confuso con le comunità politiche o etniche dell'Oriente, che si è obbligati a chiamare islamiche per poterle denominare con un termine qualsivoglia. - La teoria di queste quattro libertà è stata per la prima volta formulata, in una rivista parigina, nell'agosto 1900.


[15] «El-Ismul-Atham».

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