"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

sabato 18 aprile 2015

René Guénon, Introduzione generale allo studio delle dottrine indù - I. Considerazioni preliminari - 2. La divergenza

René Guénon 
Introduzione generale allo studio delle dottrine indù

I. Considerazioni preliminari 
2. La divergenza

Se si considera quella che si è convenuto chiamare l’antichità classica e la si paragona alle civiltà orientali, è facile constatare come essa ne sia meno lontana, almeno sotto certi aspetti, di quanto lo è l’Europa moderna.
La differenza tra l’Oriente e l’Occidente sembra sia venuta aumentando sempre più, ma questa divergenza è in qualche modo unilaterale, nel senso che soltanto l’Occidente cambiava mentre l’Oriente, generalmente parlando, rimaneva pressappoco quale era all’epoca che si suole considerare antica, e che tuttavia è ancora relativamente recente.
La stabilità, si potrebbe addirittura dire l’immutabilità, è un carattere che si riconosce abbastanza concordemente alle civiltà orientali, specialmente a quella cinese, ma sull’interpretazione del quale è forse più difficile intendersi: gli europei, da quando si sono messi a credere nel «progresso» e nell’«evoluzione», vale a dire da poco più di un secolo, vogliono vedere in ciò un segno di inferiorità, mentre noi, al contrario, vediamo uno stato di equilibrio, che la civiltà occidentale ha dimostrato di essere incapace di raggiungere. Questa stabilità, peraltro, si rivela nelle piccole cose come nelle grandi; prova ne sia, ad esempio, che la «moda», con le sue continue variazioni, non esiste che nei paesi occidentali. In definitiva l’occidentale, soprattutto l’occidentale moderno, si presenta come un essere essenzialmente mutevole e incostante, che tende soltanto al movimento e all’agitazione, mentre l’orientale presenta il carattere esattamente opposto.
Se si volesse rappresentare figurativamente, con uno schema, la divergenza di cui parliamo, non si dovranno tracciare due linee che si allontanano dalle due parti di un asse; bensì l’Oriente dovrà essere rappresentato dall’asse stesso, e l’Occidente da una linea che, partendo da questo asse, se ne allontana allo stesso modo di un ramo che si separi dal tronco, così come poc’anzi abbiamo detto. Questo simbolo sarebbe tanto più giusto in quanto, almeno a partire dai tempi definiti storici, l’Occidente è sempre vissuto intellettualmente, nella misura in cui ha avuto un’intellettualità, di quello che ha desunto dall’Oriente in modo diretto o indiretto. La stessa civiltà greca non ha affatto avuto quell’originalità che si compiacciono di proclamare coloro che sono incapaci di vedere più lontano, e che sarebbero perfino disposti ad affermare che i Greci si sono calunniati quando riconobbero ciò che dovevano all’Egitto, alla Fenicia, alla Caldea, alla Persia, e addirittura all’India. Che tutte queste civiltà siano incomparabilmente più antiche di quella dei Greci non ha la minima importanza per coloro che, accecati da quello che possiamo chiamare il «pregiudizio classico», sono pronti a sostenere contro ogni evidenza che tali civiltà sono debitrici di quella greca e ne hanno subito l’influsso; con costoro è difficile discutere, precisamente perché la loro opinione riposa soltanto su pregiudizi; ma su questo torneremo più diffusamente. Se è pur vero che i Greci hanno avuto una certa originalità, tuttavia non è affatto quella che di solito si crede, e in quasi null’altro consiste se non nella forma con cui hanno presentato ed esposto le cose che prendevano in prestito dagli altri, modificandole in modo più o meno felice per adattarle alla propria mentalità, così dissimile da quella degli orientali, ed anzi già opposta sotto più di un riguardo.
Prima di proseguire, preciseremo che non intendiamo contestare l’originalità della civiltà ellenica da un punto di vista a nostro giudizio più o meno secondario, per esempio il punto di vista dell’arte, ma soltanto da quello propriamente intellettuale, che nella civiltà ellenica è d’altronde molto più ristretto di quanto non lo sia presso gli orientali. Questo impoverimento dell’intellettualità, questo suo rimpicciolirsi, per così dire, possiamo affermarlo nettamente in un confronto con le civiltà orientali ancora viventi e di cui abbiamo una conoscenza diretta; e verosimilmente possiamo affermarlo anche in un confronto con quelle ormai scomparse, basandoci su tutto quanto possiamo saperne, e soprattutto sulle analogie che manifestamente esistettero tra queste ultime e le prime. Di fatto, lo studio dell’Oriente quale è ancor oggi, quando fosse intrapreso in modo veramente diretto, sarebbe di grande aiuto per la comprensione dell’antichità, appunto a causa di questo carattere di fissità e stabilità a cui abbiamo accennato; aiuterebbe pure a capire la civiltà greca, per la quale non possiamo confidare su una testimonianza immediata, perché anche qui si tratta di una civiltà senza alcun dubbio morta, e i Greci attuali non possono a nessun titolo essere considerati i legittimi continuatori degli antichi, dei quali probabilmente non sono nemmeno gli autentici discendenti.
Bisogna però tenere ben presente che nonostante tutto il pensiero greco è essenzialmente un pensiero occidentale, e che in esso, insieme ad altre tendenze, si trovano già l’origine e come il germe di quasi tutte quelle tendenze che si sono sviluppate molto tempo dopo negli occidentali moderni. Sarebbe quindi prudente non spingere troppo lontano l’uso dell’analogia che abbiamo or ora segnalato; ma essa, mantenuta nei giusti limiti, può ancora rendere considerevoli servigi a coloro che vogliono capire veramente l’antichità e interpretarla nel modo meno ipotetico, e d’altronde si eviterà ogni pericolo badando a tenere conto di tutto quello che sappiamo di perfettamente sicuro sui caratteri specifici della mentalità ellenica. In fondo, le tendenze nuove che si riscontrano nel mondo greco-romano sono soprattutto tendenze alla restrizione e alla limitazione, sicché le riserve che è opportuno fare in un raffronto con l’Oriente devono procedere quasi solo dal timore di attribuire agli antichi d’Occidente più di quanto non abbiano veramente pensato: quando si constata che essi hanno preso qualcosa dall’Oriente, non bisognerebbe credere che lo abbiano assimilato completamente, né affrettarsi a concludere che vi è identità di pensiero. Vi sono raffronti numerosi ed interessanti da stabilire, che non hanno equivalente per quel che riguarda l’Occidente moderno; ma non è meno vero che i modi essenziali del pensiero orientale sono affatto diversi e che se non si esce dagli schemi della mentalità occidentale, anche di quella antica, ci si condanna fatalmente a disconoscere e trascurare quegli aspetti del pensiero orientale che sono precisamente i più importanti e caratteristici. Siccome è evidente che il «più» non può scaturire dal «meno», questa sola differenza dovrebbe essere sufficiente, in mancanza di ogni altra considerazione, a indicare da che parte si trova la civiltà a cui le altre sono debitrici.
Per tornare allo schema che abbiamo introdotto sopra, dobbiamo dire che il suo difetto principale, d’altronde inevitabile in ogni schema, è di semplificare un po’ troppo le cose, perché rappresenta la divergenza come se fosse aumentata in modo continuo dall’antichità ai giorni nostri. In realtà in questa divergenza si sono verificate delle battute d’arresto e anzi in epoche meno lontane l’Occidente ha nuovamente ricevuto l’influenza diretta dell’Oriente: alludiamo soprattutto al periodo alessandrino, e anche a ciò che gli Arabi diedero all’Europa nel Medioevo, e di cui una parte apparteneva loro in proprio, mentre il resto giungeva dall’India; la loro influenza è ben nota per quanto riguarda lo sviluppo delle matematiche, ma non si limitò affatto a questo campo particolare. La divergenza tornò ad accentuarsi nel Rinascimento, dove si produsse una rottura nettissima con l’epoca precedente, e invero questo preteso Rinascimento fu una morte per molte cose, anche dal punto di vista delle arti, ma soprattutto da quello intellettuale; è difficile per un moderno cogliere tutta l’importanza e l’estensione di quel che si perdette a quell’epoca. Il ritorno all’antichità classica si risolse in un impoverimento dell’intellettualità, fenomeno paragonabile a quello già avvenuto precedentemente presso i Greci, ma con la capitale differenza che esso si manifestava ora nel corso dell’esistenza di una stessa razza e non più nel passaggio di certe idee da un popolo all’altro; è come se i Greci, proprio quando stavano per scomparire del tutto, si fossero vendicati della loro stessa incomprensione imponendo a tutta una parte dell’umanità i limiti del loro orizzonte mentale. Quando a tale influenza venne ad aggiungersi quella della Riforma, che d’altra parte non ne fu forse del tutto indipendente, le tendenze fondamentali del mondo moderno furono nettamente stabilite; la Rivoluzione, con tutto ciò che rappresenta in differenti campi, e che equivale alla negazione di ogni tradizione, doveva essere la conseguenza logica del loro sviluppo. Ma non intendiamo, qui, addentrarci in tutte queste considerazioni, che rischierebbero di condurci molto lontano; il nostro scopo non è di illustrare nei dettagli la storia della mentalità occidentale, ma solo di dirne quanto basta per far comprendere quel che la differenzia profondamente dall’intellettualità orientale. Prima di esaurire, al riguardo, le nostre considerazioni sui moderni, dobbiamo ancora tornare ai Greci, per precisare quanto finora abbiamo solo accennato in modo insufficiente e per sgombrare in qualche modo il terreno, spiegandoci abbastanza nettamente da troncare certe obiezioni che sono sin troppo facili da prevedere.
Per ora aggiungeremo soltanto qualche parola sulla divergenza dell’Occidente in rapporto all’Oriente: continuerà questa divergenza ad aumentare indefinitamente? Le apparenze potrebbero lasciarlo credere, e allo stato attuale delle cose la domanda è certo una di quelle su cui si può discutere; quanto a noi, tuttavia, non pensiamo che ciò sia possibile; ne esporremo le ragioni nella Conclusione.

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