"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

sabato 31 dicembre 2016

Ibn Tufayl, Hayy ibn Yaqzan (Il Vivente figlio del Vigilante) - 2/7

Ibn Tufayl
Hayy ibn Yaqzan (Il Vivente figlio del Vigilante)

2/7

Dalla nascita ai sette anni
Narrano i nostri virtuosi progenitori - Dio sia soddisfatto di loro - che c'è un'isola dell'India, sotto l'equatore, in cui l'uomo viene al mondo senza bisogno di padre né madre, poiché quell'isola, quanto al clima, è il più equilibrato ed il più perfetto dei luoghi della terra su di essa infatti la luce che sorge culmina nel punto più alto [del cielo].
Ciò è in contrasto con l'opinione di tutti i filosofi e di grandi medici, per i quali ciò che è più equilibrato è il quarto clima nel mondo abitato. Se hanno detto questo perché secondo loro non c'è terra abitata presso l'equatore a causa di qualche impedimento del suolo, il loro discorso, che il quarto clima è il più equilibrato di tutti i luoghi della terra, ha un fondamento.
Ma se con questo hanno voluto solo affermare che ciò che è presso l'equatore è molto caldo, come afferma la maggior parte di loro, è un errore di cui è possibile dimostrare il contrario. È provato nelle scienze fisiche che non ci sono altre cause per la formazione del calore se non il movimento, il contatto dei corpi caldi, o l'azione della luce. Ed appare anche chiaro, in queste scienze, che il sole di per sé non è caldo, e non è modificato da nessuna di queste cause naturali, che i corpi che ricevono l'azione della luce nel modo più perfetto sono i corpi levigati non trasparenti, e che subito dopo di essi nel ricevere l'azione della luce vengono i corpi opachi non levigati. I corpi trasparenti che non hanno traccia di opacità non accolgono la luce con la superficie. Dimostrò questo in particolare solo il maestro Abu Ali: chi l’ha preceduto non ne parla. Se ora queste premesse sono perfette e vere, ne consegue necessariamente che il sole non riscalda la terra come i corpi caldi riscaldano altri corpi che sono a contatto con loro, perché il sole di per sé non è caldo; e, neppure, la terra è calda per il movimento, poiché essa è in quiete ed in un solo stato, nel momento in cui il sole si leva su di essa e nel momento in cui ad essa si nasconde, anche se le sue condizioni di riscaldamento e di raffreddamento appaiono diverse al senso in questi due momenti. E, neanche, il sole riscalda dapprima l'aria, e poi riscalda dopo di essa la terra tramite il riscaldamento dell'aria. Come infatti potrebbe avvenire questo, se noi troviamo che l'aria che è vicino alla terra nel tempo della calura è molto più calda dell'aria che la segue in altezza? Rimane solo che il riscaldamento della terra da parte del sole avvenga per azione della luce. Dall'illuminazione consegue sempre il calore, al punto che, se la luce è eccessiva nello specchio concavo, incendia ciò che si trova di fronte ad esso. È provato nelle scienze sperimentali con argomenti decisivi che il sole è di forma sferica, e così pure la terra, che il sole è molto più grande della terra e che la parte della terra che è illuminata dal sole è sempre più grande della sua metà; che questa metà illuminata della terra è, in ogni momento, illuminata più intensamente al centro, poiché i luoghi sono più lontani dalle tenebre che si trovano presso la circonferenza della zona illuminata e poiché più parti di essa sono esposte al sole; ciò che si avvicina alla circonferenza riceve via via meno luce, finché si giunge alle tenebre presso la circonferenza del cerchio, che non sono mai illuminate. Solo nel luogo al centro della zona illuminata il sole è allo zenit su coloro che vi abitano, e quindi in quel luogo il caldo è più intenso che altrove. Nel luogo in cui il sole è lontano dallo zenit sui suoi abitanti, il freddo è molto intenso, mentre nel luogo su cui si prolunga la culminazione è intenso il caldo. È dimostrato in astronomia che sui luoghi della terra che sono presso l'equatore il sole non è al culmine che due volte l'anno: quando entra nel segno dell'Ariete e quando entra nel segno della Bilancia Nel suo giro annuale, per sei mesi è a sud di quei luoghi e per sei mesi è a nord di essi. Quindi in quei luoghi non c'è un caldo eccessivo né un freddo eccessivo, e le loro condizioni climatiche sono uniformi. Questo discorso richiederebbe un’esposizione più estesa di questa [che abbiamo ora dato], ma non si addice al cammino che noi stiamo seguendo; abbiamo solo richiamato su di esso la tua attenzione perché è di quelle cose che attestano la verità di ciò che si narra della possibilità che l'uomo in quel luogo si generi senza bisogno di madre né padre.
Tra i nostri progenitori, ce ne sono alcuni che sentenziano ed affermano categoricamente che [Hayy ibn Yaqzàn] è uno di quelli che si generarono in quel luogo, senza madre né padre. Altri invece lo negano, e raccontano, da parte loro, una storia che ti riferiremo. Dicono che davanti a quell'isola c'era un'isola stupenda, ampia di confini, ricca e popolosa, su cui regnava un uomo di quella gente, molto superbo e fiero. Aveva una sorella dotata di bellezza e di meravigliosa bontà, e le impediva di sposarsi: la rifiutava ai pretendenti, poiché non trovava uno adatto a lei. Un suo parente che si chiamava Yaqzan la sposò in segreto in un modo permesso nella loro fede. Poi essa rimase incinta di lui e diede alla luce un bambino. Poiché temeva che la sua vicenda fosse scoperta e che il suo segreto fosse rivelato, dopo averlo allattato lo mise in una cassetta, la legò saldamente con cinghie, e uscì con essa sul far della notte, accompagnata da un gruppo di serve e di persone degne della sua fiducia, dirigendosi verso la riva del mare mentre il suo cuore si struggeva d'amore e di timore per lui. Poi si congedò da lui dicendo: - Mio Dio, Tu hai creato questo bambino, ed era una cosa insignificante, hai provveduto a lui nelle tenebre delle mie viscere e ti sei preso cura di lui finché è divenuto completo e si è maturato. Io l'ho affidato alla Tua benevolenza e ho desiderato per lui la Tua grazia, per paura di questo re tiranno, prevaricatore e inflessibile. Sii con lui e non abbandonarlo, Tu che sei il più misericordioso dei misericordiosi. - Poi spinse la cassetta in mare aperto. E quella incontrò una corrente d'acqua con la forza dell'alta marea che la portò quella notte alla riva dell'altra isola menzionata prima. La marea giungeva in quel, tempo fino ad un luogo cui non giungeva che una volta l'anno. L'acqua con la sua forza la fece entrare in un bosco fittissimo di alberi dal terreno soffice e vellutato, protetto dai venti e dalla pioggia, riparato dal sole: deviava da esso quando sorgeva, e declinava [su di esso] al tramonto. Poi l'acqua prese a decrescere, e la cassa rimase in quel luogo. In seguito le sabbie si innalzarono fino a chiudere l'ingresso dell'acqua in quel bosco e così la corrente non vi giungeva.
I chiodi della cassa erano divenuti vacillanti, poiché le sue tavole avevano urtato nel momento in cui l'acqua l'aveva scaraventata nel bosco. Quando a quel bimbo si fece intensa la fame, pianse, chiamò aiuto, e si sforzò di muoversi; la sua voce giunse all'orecchio di una gazzella che aveva perduto il suo piccolo che era uscito dalla tana e l'aquila lo aveva preso. Udendo la voce, la gazzella pensò che fosse di suo figlio. Segui la voce, immaginando il suo piccolo, finché giunse alla cassetta, la esplorò con i suoi zoccoli, ed essa cedeva, mentre si lamentava chi vi era dentro, finché volò in pezzi una tavola della parte superiore della cassa: la gazzella si intenerì, si chinò su di lui, lo vezzeggiò, gli porse la sua mammella, gli diede da bere latte gustoso e continuò ad aver cura di lui ad allevarlo e a difenderlo dal pericolo.
Questa è l'origine della sua vicenda secondo chi nega la sua generazione senza padre né madre. Noi qui descriviamo come si è evoluto nei suoi stati, finché pervenne al conseguimento sublime. Quanto a coloro che sostengono che si generò dalla terra, essi dicono che in quell'isola c'era una valle in cui l'argilla fermentava con il passare degli anni e degli anni, così che il caldo si mescolava al freddo, e l'umido al secco in parti uguali ed in equilibrio di forza; questa argilla che fermentava era molto abbondante, ed una parte di essa era migliore dell'altra per la giusta proporzione della miscela e per la predisposizione all'ulteriore sviluppo dei miscugli, ed il suo centro era la sua parte più equilibrata e perfetta, simile alla costituzione umorale dell'uomo. Quella creta si scosse fortemente ed apparvero in essa bolle simili a quelle dell'ebollizione, per la violenza del moto e per la sua viscosità. Apparve al centro di essa, per la viscosità, una bolla piccolissima divisa in due parti da un sottile diaframma, piena di un corpo fine ed aeriforme nelle condizioni del massimo equilibrio a lui connaturale. In quel mentre, si unì ad esso il soffio che proviene da Dio Altissimo e gli aderì di un'aderenza tale che la sensibilità e l'intelletto solo a fatica possono separarsene.
Ed appare chiaro che questo soffio spira incessante e sovrabbondante da presso Dio - Egli è potente ed eccelso - e che esso è come la luce del sole che è incessante e sovrabbondante sul mondo.
Ora, dei corpi, quello che non riceve la luce è l'aria molto trasparente, quelli che ricevono in parte la luce sono i corpi opachi non levigati, e questi ricevono la luce in modi diversi, e a seconda dei modi i loro colori sono differenti. Quelli che ricevono la luce nel più alto grado sono i corpi levigati, come lo specchio e simili. Se questo specchio è concavo, di una forma particolare, appare in esso il fuoco per l'eccesso della luce.
Così il soffio che viene da Dio Altissimo è sempre sovrabbondante su tutte le creature. Di esse, quelle in cui non si manifesta la sua impronta per mancanza di attitudine sono i corpi solidi che non hanno vita> e questi sono come l'aria nell'esempio precedente. Quelle in cui si manifesta la sua impronta secondo la loro attitudine sono i vegetali. Questi sono simili ai corpi opachi nell'esempio precedente. Quelle in cui si manifesta la sua impronta in modo molto evidente sono gli animali, ed essi sono come corpi levigati nell'esempio precedente. Di questi corpi levigati, quelli che ricevono la luce nel più alto grado riproducono l'immagine del sole e la sua figura; così anche, degli animali, quello che accoglie il soffio divino nel più alto grado riproduce il soffio divino ed è modellato a sua immagine; esso è l'uomo in particolare. A lui si riferisce l'accenno nelle parole del Profeta, Dio lo benedica e gli dia pace: "Dio ha creato l'uomo a Sua immagine". Questa immagine prende forza in lui al punto che si annulla ogni altra, immagine nella sua realtà, ed essa sola rimane, ed il sublime splendore della sua luce divora con la sua vampa tutto ciò che raggiunge, e allora è come lo specchio concavo che si riflette in se stesso ed incendia tutte le altre cose; ma questo non avviene che ai Profeti, Dio li benedica. Tutto ciò è esposto chiaramente nei testi appropriati.
Ma concludiamo il racconto di coloro che descrivono questo modo di generazione. Dicono: quando questo soffio divino aderì a quell'intimo ogni forza si sottomise a lui, e gli si prosternò, e fu asservita per ordine di Dio Altissimo nella sua totalità. Si formò, di fronte a quella bolla, un'altra bolla divisa in tre cavità, tra le quali erano sottili diaframmi e vie di comunicazione, piene di un corpo simile a quel corpo aeriforme di cui era piena la prima bolla, ma più sottile. Risiedeva in queste tre cavità, frazioni di una sola, parte di quella forza sottomessa al soffio di Dio, e s’incaricava di custodirle e di sostenerle e di comunicare al soffio primo, unito alla prima bolla, ciò che accadeva in esse, fosse cosa di piccola o di grande importanza. Si formò anche, di fronte a questa bolla, dalla parte opposta alla seconda, una terza bolla, piena di un corpo aeriforme, ma più denso di quello contenuto nelle prime due. Anche in questo intimo risiedeva parte di quella forza obbediente al soffio divino, e si incaricava di custodirlo e di sostenerlo. Questi tre ricettacoli furono la prima cosa che si creò da quella grande quantità di argilla in fermento, nell'ordine citato. C'era tra essi un rapporto di interdipendenza: il primo aveva bisogno che gli altri due lo servissero e fossero ad esso sottoposti, gli altri due avevano bisogno del primo come coloro che dipendono hanno bisogno di chi li diriga, e come coloro che sono guidati di chi li guidi, ma, quanto agli organi che si sarebbero generati dopo di essi, entrambi erano capi, non sottoposti. Uno dei due, il secondo, era più perfetto del terzo nel sovraintendere, ma il primo era più perfetto degli altri due, poiché gli si era unito il soffio divino. Il suo calore divampò, ed esso prese la forma conica del fuoco, si modellò secondo la sua forma anche la sostanza spessa che lo circondava, e si formò una carne solida sulla quale si costituì un rivestimento compatto che la proteggeva. Questo organo nella sua totalità si chiamava «cuore». Poiché il suo calore proveniva dalla scomposizione e dall'annientamento degli umori, aveva bisogno di qualcosa che gli fornisse sostegno e nutrimento e che reintegrasse ciò che di lui si dissolveva continuamente, altrimenti non sarebbe sopravvissuto a lungo; aveva bisogno anche di percepire ciò che gli era benefico e di attrarlo, e ciò che gli era incompatibile e di rifiutarlo Uno degli organi, con quella forza che era in esso e che traeva la sua origine dal cuore, si incaricò per lui di provvedere alla prima necessità, l'altro organo alla seconda. Il responsabile della percezione era il cervello, il responsabile dell'alimentazione era il fegato. Entrambi avevano bisogno del cuore, che li soccorresse con il suo calore e con la forza particolare che da lui aveva origine. Per tutti questi motivi s’intrecciavano, tra i due organi e il cuore, sentieri e passaggi, alcuni dei quali erano più spaziosi di altri, a seconda di ciò che la necessità richiedeva, ed erano le arterie e le vene. Continuano poi a descrivere tutta la generazione e gli organi nella loro totalità, in accordo con ciò che descrivono gli studiosi di scienze naturali a proposito della creazione dell'embrione nell'utero senza discostarsene minimamente, finché la sua formazione divenne perfetta, furono completate le sue membra, e giunse al grado di sviluppo in cui si trova l'embrione pronto a nascere. Ricorrono, nel descrivere quel completamento, a quella grande argilla che fermentava, e sostengono che essa era predisposta in modo che si producesse da essa tutto ciò che era necessario a formare l'organismo umano, dalle membrane di rivestimento a tutto il suo corpo, e così via. Quando il suo sviluppo giunse al termine, si staccarono da lui quelle membrane, come avviene nel parto, e l'argilla rimanente si spaccò, essendosi prosciugata. Poi quel bimbo invocò aiuto, quando si esaurì la sostanza che lo nutriva e la sua fame si fece intensa, e una gazzella che aveva perduto il suo piccolo accorse al suo grido. Da questo punto in poi, è uguale ciò che descrivono questi e ciò che descrive il primo gruppo [di cui abbiamo parlato], a proposito della sua educazione, e dicono tutti:
La gazzella che lo aveva adottato prese a frequentare un luogo fertile ed un pascolo rigoglioso, le sue carni si fecero più fiorenti, il suo latte fluì in abbondanza, in modo che provvide al nutrimento di quel bimbo nel migliore dei modi. Non si allontanava da lui se non per la necessità del pascolo. Il bimbo si affezionò a quella gazzella al punto che quando essa tardava a venire si faceva violento il suo pianto, ed essa accorreva presso di lui. In quell'isola non c'erano animali feroci: il bimbo fu allevato, crebbe e fu nutrito dal latte di quella gazzella finché ebbe compiuto i due anni: fece progressi nel camminare, gli spuntarono i denti, e andava dietro a quella gazzella; essa era gentile e indulgente con lui, e lo conduceva in luoghi in cui erano alberi colmi di frutti. Gli dava da mangiare quei frutti che faceva cadere, dolci e maturi; e se qualche frutto aveva il guscio resistente, lo rompeva per lui con i suoi denti. Quando tornava a succhiare il latte, lo saziava, quando aveva sete d'acqua, lo conduceva all'acqua, quando appariva il sole, gli faceva ombra, quando soffriva il freddo, lo riscaldava. Quando la notte diventava scura, lo faceva volgere al luogo in cui lo aveva trovato, e lo ricopriva con il suo corpo e con piume che erano là, di cui era stata un tempo riempita la cassetta quando il bimbo vi era stato posto. Nell'andare al pascolo al mattino e nel tornare la sera, era solito accompagnarsi a loro un branco di gazzelle che con loro pascolava e con loro trascorreva la notte Il bimbo continuò a vivere con le gazzelle in quel modo, ed imitava con la voce il loro verso, al punto che quasi non c'era distinzione tra lui e loro. Così pure riproduceva con una grande efficacia i versi di tutti gli uccelli e degli altri animali che sentiva. Ma, più di ogni altra cosa, imitava i versi delle gazzelle nel chiedere aiuto, nel chiamare, nel cercare compagnia, nel difendersi: poiché gli animali in queste diverse situazioni si esprimono in modi differenti fraternizzavano con lui gli animali selvatici, ed egli con loro, non lo respingevano e non li respingeva. Quando fissava nella sua mente le immagini delle cose dopo che si erano nascoste alla sua osservazione, gli avveniva di provare inclinazione per alcune di esse e avversione per altre. In tutto quel tempo guardava tutti gli animali e li vedeva rivestiti di peli, di pellicce e di piume. Vedeva la velocità che avevano nella corsa, la forza del loro assalire, e le armi di cui erano forniti per difendersi nella lotta, come le corna, le zanne, gli zoccoli, gli aculei e gli artigli. Poi tornava ad esaminare se stesso e si vedeva nudo, privo di difese, debole nella corsa inadeguato nell'assalto. Quando gli animali selvatici gli contendevano i frutti di cui si nutriva, li prendevano tutti per sé escludendolo, glieli strappavano con la forza e non poteva né scacciarli né sfuggire loro in qualche modo. Vedeva che ai piccoli delle gazzelle, suoi coetanei, erano già spuntate le corna che prima non avevano e che erano diventati forti, mentre prima erano deboli nella corsa. Non riscontrava in se stesso niente di tutto ciò, rifletteva su questo e non ne comprendeva il motivo. Guardava le creature inferme e menomate, ma tra loro non ne trovava nessuna simile a lui. Osservava anche gli orifizi di uscita degli escrementi di tutti gli animali e li vedeva nascosti e protetti, quello delle deiezioni solide dalla coda e quello delle deiezioni liquide dai peli: egli non era simile a loro, e inoltre essi avevano anche il pene più nascosto rispetto a lui. Tutto questo lo inquietava e lo addolorava.
Dopo che a lungo si fu protratto il suo cruccio per tutto ciò, era già vicino ai sette anni, non sperò più che si rimediasse quella imperfezione e che gli giungessero a completamento quelle qualità la cui carenza lo aveva danneggiato.
Prese delle foglie larghe degli alberi e se ne mise alcune dietro e altre davanti, ricavò dalle foglie di palma e di alfa una cintura intorno alla vita e ad essa legò quelle foglie. Non rimase a lungo vestito di quelle foglie: esse infatti appassirono, si seccarono e gli caddero. Continuò a prenderne altre e ad appuntarle le une alle altre in più strati: spesso questo fu più duraturo, ma ad ogni modo fu di breve durata. Dai rami degli alberi trasse dei bastoni, levigò le loro estremità ne aggiustò il corpo; con essi scacciava gli animali selvatici che contendevano con lui, attaccava chi di loro era debole e teneva testa a chi era forte. Si rese conto così in qualche modo delle sue capacità: vide che la sua mano era molto superiore rispetto alle loro zampe infatti poteva con essa coprire i suoi genitali e afferrare i bastoni con i quali difendeva il possesso di ciò che aveva e di ciò che desiderava ottenere, meglio che con la coda e con l'arma naturale.

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