"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

giovedì 22 marzo 2018

J. C., Alcune osservazioni a proposito dell’opera di René Guénon

J. C.
Alcune osservazioni a proposito dell’opera di René Guénon


Prefazione

L’attuale crisi mondiale, considerata dal punto di vista delle energie cosmiche che vi manifestano la loro azione, comporta, tra le altre ca­ratteristiche, un crescente spiegamento di questo Potere di suggestione e d’illusione che i teologi cattolici chiamano “il Diavolo”[1].


D’altronde, non è sorprendente per noi che questo Potere eserciti la sua azione, anche nei domini da cui sembrerebbe che dovesse essere più escluso, poiché sappiamo da secoli, e anche letteralmente da mil­lenni che il periodo precedente il “giudizio universale” deve vedere l’apparente trionfo esteriore di tale Potere, che d’altronde avrà con ciò stesso realizzato le condizioni della propria rovina.

Non abbiamo intenzione d’occuparci di tutte le manifestazioni di quest’attività, alla quale è già abbastanza difficile resistere per non ricevere il suo marchio e il suo segno sulla fronte o sulla mano[2], ma vi sono certi domini in cui non possiamo astenerci d’intervenire, non mossi da un personale desiderio d’azione esteriore, ma per scrupolo di verità.

È così che certi fatti recenti, che mettono in causa e in discussione l’opera e la personalità di René Guénon, ci fanno obbligo di precisare certi punti di dottrina o di fatto, poiché le circostanze esteriori esclu­dono un intervento materiale dell’interessato.

I

Portata e carattere dell’opera di René Guénon

– Ogni esposizione intellettuale, in qualunque campo, costituisce, in quanto manifestata esteriormente, un’autentica “azione”, che s’in­quadra nel divenire cosmico; generando nello sviluppo della specie umana delle serie indefinite di conseguenze, d’importanza d’altronde assai disuguale a seconda dei casi.

Quest’“azione”, come tale, si esercita quindi evidentemente in ac­cordo con le condizioni logiche e ontologiche di questo divenire, e pertanto, una tal esposizione contiene pienamente, e contiene sola­mente, ciò che corrisponde al posto cosmologico dove si situa l’in­dividualità il cui organo mentale assume il compito d’esprimere este­riormente ciò che è l’oggetto dell’esposizione. È questo uno degli aspetti di ciò che si può chiamare la funzione cosmica dell’individuo considerato nella Manifestazione Universale.

– L’opera di René Guénon, esaminata da questo punto di vista, è essenzialmente dedicata a una corretta esposizione della Metafisica pura, e gli aspetti cosmologici, biologici e pratici della Dottrina, non vi sono considerati che accessoriamente, e nello stretto limite in cui era necessario accennarne il normale ricollegamento ai principi metafisici da cui questi aspetti subordinati dipendono.

È che nello stato attuale del divenire della specie umana, era neces­sario, e di conseguenza inevitabile, che fossero espressi in Occidente (dove ha sede esteriormente la potenza materiale) in maniera precisa e che non lasciasse posto a degli errori più o meno volontari, i dati fon­damentali della pura Conoscenza Metafisica, in modo tale che nella crisi presente e in quelle che seguiranno, sia possibile a tutti gli uomini che dispongono di un “intelletto sano” e di un’autentica “buona vo­lontà” verificare se tale o talaltra attività esteriore fosse, o non fosse, in accordo con questi dati.

Il posto cosmologico occupato da René Guénon corrispondeva pre­cisamente a questa funzione.

– Risulta d’altronde dalla natura come dalla forma delle esposi­zioni di René Guénon, che queste non possono essere deviate dal loro vero senso dagli schiavi dell’Anticristo, e utilizzate così dalla Contro-Iniziazione, giacché, come scriveva giustamente lo stesso René Guénon parlando del Diavolo[3], «non v’è che un dominio che gli sia rigorosa­mente interdetto, ed è quello della pura metafisica».

Proprio al contrario, è sempre possibile utilizzare una dottrina cosmologica per dei fini qualunque, e anche opposti, ed è così che, ad esempio, dei gruppi d’uomini “più o meno mal ispirati”, hanno potuto servirsi e rivendicare gli scritti di Saint-Yves d’Alveydre, mentre nel caso di René Guénon, coloro che sono “mal ispirati” si trovano costretti a tacciare di falso la sua opera e a opporsi ad essa.

II

René Guénon e gli Orientali occidentalizzati

– La funzione cosmica che s’è così espressa a mezzo di René Guénon e che possiamo designare come l’“Iniziazione” (precisamente nel senso cosmologico di questa parola), ha in questa maniera assicu­rato un efficace contrappeso alle conseguenze dell’azione perseguita in senso inverso per distruggere dappertutto (e specialmente in Oriente dove sussisteva ancora), la struttura “regolare” delle società umane, fa­cendo perdere di vista le concezioni metafisiche sulle quali riposa que­sta struttura regolare, o alterando la comprensione di questi concetti.
– Infatti, dal momento dell’insediamento degli Europei in Oriente, uno sforzo immenso e tenace s’è esercitato senza tregua, sotto l’in­fluenza dei dirigenti segreti del mondo occidentale, per ottenere che la mentalità dei popoli d’Oriente sia – tanto quanto si potesse – distaccata dalle forme tradizionali legittime da cui dipendevano, affinché il rove­sciamento dei reali valori, che caratterizza la mentalità occidentale mo­derna, possa essere estesa all’insieme dell’umanità terrestre, il che è uno dei marchi e delle condizioni che devono essere realizzate verso la fine del ciclo attuale.

Abbiamo qui l’occasione d’insistere sul fatto, che l’estensione a tutta l’umanità di questo processo, differenzia profondamente la crisi attuale da tutte le altre crisi analoghe già attraversate nel corso delle epoche dette “storiche”, e che così si trova messo in valore il suo speciale carattere di preparazione immediata al “Giudizio Universale”, per impiegare il linguaggio del cristianesimo.

– Comunque sia di quest’ultimo punto, è un fatto che quasi tutto – diciamo bene quasi tutto – ciò che è stato fatto in Oriente[4] per avvi­cinare l’Oriente e l’Occidente, ha avuto in realtà per scopo di sostituire alle concezioni proprie delle dottrine orientali, le “concezioni intel­lettuali” del mondo occidentale moderno, rivestendo queste ultime con un velo o una terminologia proprie a mascherarne la vera natura.

Così, è necessario affermare, per quanto sgradevole possa essere per certuni, che gli Orientali che hanno preteso di mettere le dottrine orientali alla portata degli Occidentali, sono stati in realtà solo i mis­sionari dell’Occidente. Queste persone, Orientali di fatto occidentaliz­zati, non hanno potuto e non possono che ingannare coloro che gli ac­cordano una fiducia che non meritano in alcun modo, e la supposi­zione più favorevole si possa fare a loro favore, è che impregnati a loro insaputa delle influenze occidentali che hanno subito inconscia­mente, essi s’ingannano da sé ingannando gli altri.

Vi sono, a questo riguardo, certi criteri che non tradiscono, come ad esempio l’uso del sostantivo “il Divino” che, sconosciuto all’Oriente e preso in prestito dal pietismo protestante anglosassone[5], costituisce uno di quei marchi d’antitradizionalismo e di debolezza intellettuale che abbiamo in vista. Ci riferiamo qui in particolare a certi testi pub­blicati sotto il patronimico di Śrî Aurobindo, senza voler d’altronde, in mancanza di sufficiente documentazione, formulare qualsiasi giudizio su questa stessa personalità, e sulla sua azione, il che richiederebbe numerose precisazioni e distinzioni, e insomma un lavoro che non possiamo attualmente intraprendere. Avremmo delle osservazioni ana­loghe da presentare a proposito di certe traduzioni commentate di testi tibetani, di una mediocrità intellettuale lamentevole.

– Più precisamente, dobbiamo aggiungere ancora che il processo con il quale degli Indù, facendosi forti di Śrî Ramâkrishna vengono in Occidente a esporre un Vêdânta nettissimamente occidentalizzato, di­pende in realtà dalle manovre con le quali ci si sforza di dare agli Occidentali l’illusione che essi penetrano nel dominio dell’Iniziazione, e anche che entrano nel campo delle conoscenze conservate in Oriente, quando in realtà essi dimorano, malgrado le apparenze, nel dominio mentale controllato strettamente dai veri dirigenti dei popoli occiden­tali che dominano esteriormente, con la forza o con l’inganno, i popoli dell’Oriente.

Per di più, nello stesso Oriente, i dirigenti delle imprese pseudo-orientali che abbiamo in vista hanno per compito reale, quali che siano le loro pretese e le loro illusioni, di diffondere tra gli stessi Orientali, in tutta la misura in cui ciò è possibile, la mentalità anti-tradizionale alla quale abbiamo fatto allusione più sopra. Che lo si voglia o no, tutto ciò si situa nel quadro delle attività cui ci siamo riferiti al punto 2, qui sopra.

– Per contro, esistono in Occidente delle notevoli tracce di uno sforzo propriamente diretto allo scopo di rendere possibile una prepa­razione intellettuale alla conoscenza effettiva delle dottrine tradizio­nali, e noi ci riferiamo qui specialmente da una parte alle traduzioni di Mohyiddîn ibn ‘Arabî, apparse nella rivista La Gnose[6], e d’altra parte a certe traduzioni di testi orientali pubblicati dalla scuola belga; la formazione intellettuale cattolica degli autori di quest’ultime tradu­zioni avendoli preservati (malgrado le limitazioni alle quali essi erano intellettualmente soggetti) dal prendere una direzione anti-tradizionale.
– Sarebbe tuttavia erroneo non aggiungere alle affermazioni che precedono una controparte indispensabile, notando che l’attività anti-tradizionale, che si esercita nelle imprese pseudo-orientali, cui ci siamo riferiti, ha per contro per effetto di preparare l’unificazione spirituale dell’umanità, abituando delle categorie numerose d’esseri umani alle forme di linguaggio e ai simboli che rivestono le dottrine orientali, e anche aprendo alla loro sensibilità (in mancanza del loro intelletto) i cammini dell’Oriente, o almeno i dintorni di questi cam­mini.

Si tratta lì di un processo analogo a quello per il quale, in Occidente, le attività pseudo-tradizionali (dunque in realtà anti-tradizionali) degli ambienti neo-spiritualisti (occultisti in testa) arrivano a condurre cer­tuni verso delle vie intellettuali di cui senza ciò essi non avrebbero pensato a ricercare l’entrata.

Il pericolo che noi segnaliamo sarebbe dunque d’attardarsi in queste direzioni difettose o d’attribuire loro una portata e un significato che esse non hanno.

Per adottare un linguaggio impiegato qualche volta, si può dire che le diverse scuole o gruppi che critichiamo duramente, dipendono, da certi punti di vista, da quel processo che, nell’Iniziazione, è chiamato “discesa agli inferi”, di sorta che considerati da un punto di vista molto più generale, s’inquadrano nell’armonia totale della Manifestazione Universale e giocano, al loro posto, il ruolo che conviene, in vista della realizzazione delle condizioni che marcheranno la fine del Kali-Yuga.

– Quel che tenevamo dunque essenzialmente a precisare qui, è anzitutto il posto reale di tutte queste manifestazioni con le quali si “occidentalizza l’Oriente”, e con le quali s’illudono gli Occidentali che ricercano le “Chiavi dell’Oriente”.

Vogliamo anche precisare che ciascuno può situare se stesso in rapporto alle diverse vie possibili, secondo la scelta che egli fa tra un Occidentale orientalizzato come René Guénon, e un Orientale occi­dentalizzato, come quelli cui ci riferiamo.

III

René Guénon e la realizzazione metafisica

– È abbastanza sorprendente constatare che la maggior parte degli Occidentali che sono stati attratti dall’opera di René Guénon, e che si credono sinceramente “guénoniani”, manifestano un’impazienza vivis­sima d’essere messi in possesso di “procedimenti di realizzazione”, e che manifestano una certa delusione, per il fatto che René Guénon ha sistematicamente lasciato da parte questo punto la cui importanza è evidente.

Ora, è in ragione di condizioni molto generali, alle quali non è in po­tere di nessuno sottrarsi, che René Guénon ha taciuto su questo punto. Noi non possiamo trattare, neppure succintamente, una tale questione, che esigerebbe una messa a punto eccedente di molto i limiti di una breve nota; ma è tuttavia possibile cercarne certi aspetti, più parti­colarmente in rapporto con le circostanze che ci hanno indotto a scri­vere queste poche pagine.

– Innanzitutto, è necessario sottolineare che non si può sfuggire all’impressione che, quando degli Occidentali parlano di “procedi­menti di realizzazione”, essi hanno in vista una sorta di “raccolta di ricette” tali che mettendole in opera in maniera regolare, sistematica e progressiva, sotto la guida di un buon professore, ne seguirebbe un avanzamento regolare nel cammino che conduce dallo stato di profano a quello di Liberato. In questa concezione, la “trasmissione iniziatica” sarebbe una sorta di rito preliminare, mediante il quale si produrrebbe una trasformazione della biologia del recipiendario, assicurando lo svolgimento del processo di cui parliamo.
– Probabilmente, questa maniera di rappresentarsi le cose non è formulata in maniera così schematica, che parrebbe sotto certi aspetti un po’ troppo ingenua; eppure, inconsciamente, la maggior parte degli Occidentali si rappresenta il processo iniziatico in maniera abbastanza analoga a quella che abbiamo appena descritto.

Ora, occorre proprio dire che questa descrizione molto generalmente diffusa non corrisponde, se la si schematizza così, alla realtà e non è affatto con una tale rappresentazione che si può trovare accesso alla Conoscenza effettiva comportante la realizzazione degli stati d’esi­stenza nei due sensi dell’ampiezza e dell’esaltazione, poi di Ciò che è di là degli stati d’esistenza.

La descrizione – (e non la definizione) – corretta di questo processo esige degli sviluppi abbastanza estesi per essere intelligibili, e non possiamo pensare di presentare attualmente questi sviluppi. Quindi ci limiteremo a presentare un’analogia presa in prestito da un processo abbastanza paragonabile, benché dipendente da un dominio differente, vogliamo dire il dominio religioso, che, malgrado le caratteristiche del tempo presente, dimora ancora relativamente abbastanza familiare a molti Occidentali.

– Nell’ordine d’idee e di realtà al quale corrisponde la “religione”, lo scopo proposto all’individuo si presenta come la “salvezza”, la “vita eterna”, la “santità”, ciascuna di queste designazioni corrispondendo d’altronde a degli aspetti differenti della realtà di cui si tratta.

Ora, il “sacramento del battesimo”, con il quale si diviene cristiani è ben una condizione necessaria[7] per appartenere al Corpo della Chiesa, e pertanto per beneficiare in principio delle possibilità inerenti allo stato di Cristiano.

Ma, da una parte, è possibile supplire al battesimo per tutti coloro che nella pienezza del loro volere, desiderano perfettamente, senza alcun miscuglio di frode interna, compiere quel che è o che essi cre­dono essere la volontà di Dio.

D’altra parte, il possesso di un buon insegnamento concernente la dottrina cristiana, e la sottomissione alle direttive di un prete dal quale si è stati battezzati, o di uno dei suoi confratelli, non possono ad alcun grado garantire la conquista della “santità”.

– Allo stesso modo, va detto:
a) Che il possesso di un corpo di dottrine teoriche e pratiche (o tecni­che) comportanti dei metodi efficaci (in principio) per la conquista degli stati superiori d’esistenza, non costituisce di per sé una condi­zione sufficiente per realizzare l’effettivo possesso di questi stati, e ancora assai meno per raggiungere Ciò che è di là di tutti gli stati d’esistenza.
b) Che occorre, oltre a questo possesso, in qualche modo esteriore, un insieme di qualificazioni interne, che ci si porta con sé venendo in questo mondo, ma che sviluppano effettivamente i loro effetti solo nella misura in cui gli insiemi di causalità interne inerenti alla serie dell’individualità considerata, e di causalità cosmiche o esterne che si spiegano in modo concomitante e rigorosamente correlativo, permet­tono l’effettiva manifestazione di queste possibilità nel corso dell’esi­stenza umana considerata.
c) Tra questi insiemi di condizioni causali, la ricezione di certi riti speciali, costituisce una necessità abituale, nel senso che questi riti portano alla partecipazione (almeno in principio e virtualmente) a certi gruppi d’energie sottili e spirituali in rapporto con certune delle moda­lità (in numero d’altronde indefinitamente indefinito) di cui è suscetti­bile la biologia della specie umana presa in tutta la sua estensione.

Con questa ricezione è dunque aperta in principio una via che permette un’estensione individuale in rapporto con tutta l’estensione di cui sono suscettibili le forme, energie, o modalità biologiche in que­stione.

Presa in tutta la generalità di cui è suscettibile, questa nozione conduce all’Iniziazione ai Piccoli Misteri che porta alla “restituzione dello Stato Primordiale” (la chiave d’argento di Dante, Purgatorio, Paradiso).

d) V’è naturalmente qui pluralità di riti, e persino pluralità inde­finita, siccome v’è pluralità di forme, di gruppi energetici e di modalità biologiche, nell’ordine delle realizzazioni cosmologiche in questione qui.

Inoltre esistono numerosi lignaggi iniziatici differenti gli uni dagli altri, con dei riti che corrispondono a queste differenze. È solamente alla piena realizzazione dello Stato Primordiale, vale a dire della pienezza di tutta l’estensione delle possibilità incluse nello Stato uma­no, che queste differenze cessano d’esistere.

D’altronde, se si considera il processo iniziatico nel suo complesso, fino alla restituzione di cui parliamo, bisogna dire, adottando il simbolismo di Dante, che la chiave con la quale è stata aperta la Porta Santa è custodita da un “Angelo” qualunque siano d’altronde gli uomi­ni per i quali s’è espressa l’azione che ha portato alla realizzazione di questo processo.

D’altra parte, né la ricezione di un rito, né il possesso di una tecnica (nella sua espressione con delle parole che per definizione non pos­sono superare i limiti del mentale) garantiscono un incamminarsi regolare nella via della realizzazione effettiva della Conoscenza. In realtà, come diceva un rituale martinista (che probabilmente noi interpretiamo in un senso più pieno di colui che lo scrisse): «È da te stesso, in tutto il tuo isolamento, che tu devi trarre il principio del tuo avanzamento». Vale a dire che la realizzazione, essendo opera interna, che si compie in e attraverso l’Unità, non può essere effettuata che con questo sforzo interiore in cui l’approfondimento dell’Unità interna s’accompagna all’espansione indefinita nel suo ordine, delle possi­bilità dell’essere umano.

e) Al di là della restituzione dello Stato Primordiale e dell’apertura dei Grandi Misteri con la chiave d’oro (Dante), non è più questione delle distinzioni che precedono, non più d’altronde che dei riti nel senso che noi vogliamo solo considerare qui.
f) Come esplicitamente indicato da René Guénon in diversi pas­saggi[8], i riti costituiscono un aiuto e un normale punto d’appoggio, ma non una condizione strettamente indispensabile. D’altronde come afferma da parte sua il trattato di Mohyiddîn ibn ‘Arabî sulle Cate­gorie dell’Iniziazione, sono esistiti, esistono, esisteranno dei Solitari che non dipendono dalla gerarchia che culmina nell’“Apogeo Spiri­tuale”, ma direttamente da questo spirito, di cui El-Khidr è l’espres­sione nella formulazione musulmana della Tradizione, e i cui equiva­lenti, quantunque meno conosciuti, sono ugualmente menzionati nelle altre forme tradizionali.

g) Infine, per terminare con quel che riguarda quest’ordine di que­stioni, conviene sottolineare che l’incontro di detentori dell’insegna­mento tradizionale, vale a dire d’individualità ricollegate sotto una forma o sotto un’altra a un’organizzazione conservante un effettivo contatto con il Centro del Mondo, costituisce per colui al quale simile cosa succede la testimonianza ch’egli perviene all’entrata del Cam­mino, quand’anche condizioni diverse s’oppongano a una realizza­zione effettiva delle corrispondenti possibilità. D’altronde se in questo dominio qualsiasi impazienza sarebbe un ostacolo all’avanzamento spirituale, per contro gli sforzi interni anche se non producono effetti esteriori generano tuttavia i germi, o le possibilità, che si sviluppe­ranno del tutto naturalmente al momento opportuno.
– Aggiungeremo ancora un’osservazione che, probabilmente, sarà poco gradita a certuni, ma che, precisamente, è opportuna in ragione stessa di questo fatto.

L’inizio del processo iniziatico, ha in realtà per risultato d’aprire nell’individuo umano delle vie attraverso le quali egli entra in rapporto cosciente o no con le potenze cosmologiche che abbiamo appena con­siderato nel paragrafo 5. Queste potenze presentano evidentemente, tra altri campi di manifestazione, delle attività nei domini intellettuali, politici, religiosi, economici, ecc, ecc.[9].

Vi sono dunque in questo dominio, come in quello dei “poteri”, due pericoli da evitare. Il primo sarebbe di misconoscere la realtà di questi legami, e, con il pretesto d’indifferenza per “il punto di vista cosmo­logico”, di divenire lo schiavo incosciente del complesso sistema d’azioni e di reazioni al quale facciamo allusione qui, e nel quale il ricollegamento a una qualsiasi organizzazione comporta inevitabil­mente una partecipazione.

Vogliamo dire molto esplicitamente che la forma stessa di un’orga­nizzazione: giudaica, massonica, cristiana, musulmana, indù, lamaista, taoista, ecc., comporta per colui che vi si trova dei legami con il ruolo intellettuale, politico, economico, ecc., della Forma in questione, nella biologia generale della specie umana.

Il secondo pericolo sarebbe al contrario d’accettare la servitù ine­rente questi legami, con le limitazioni ch’essa comporta, il che com­porterebbe dei pericoli altrettanto gravi, benché di natura diversa, di quelli inerenti la ricerca dei “poteri” per se stessi. Il processo iniziatico comporta infatti l’effettivo riconoscimento dei legami di cui si tratta, così come la determinazione delle rispettive funzioni delle diverse forme, e l’apertura del cammino attraverso il quale ci si libera dalle servitù dalle quali si è trattenuti a distanza dal Luogo Centrale in cui queste forme s’unificano nel loro comune Principio.

IV

René Guénon e la reincarnazione

1o. Nessuna questione pare aver dato luogo a più malintesi e controversie di quelle della reincarnazione (se non quella di Atman e d’Iswara), non che essa presenti delle difficoltà eccezionali, ma piuttosto perché per esporla correttamente nei suoi diversi aspetti, occorrerebbe entrare in sviluppi abbastanza ampi, che vertono su nozioni che paiono del tutto estranee agli Occidentali.

Non possiamo pensare di fare al presente un’esposizione del genere e delle spiegazioni inevitabilmente molto succinte rischiano d’aumen­tare ancor più la confusione che regna in questo dominio. Ci sembra tuttavia che malgrado questi inconvenienti che non ignoriamo, non possiamo esimerci dal presentare almeno alcune considerazioni fon­damentali su certi punti essenziali.

2o. Anzitutto, dobbiamo ben constatare questo fatto (il cui significato richiederebbe uno studio speciale), che mentre le religioni occidentali negano la reincarnazione, per contro le folle orientali, particolarmente quelle ricollegate alla civiltà indiana, credono in una successione d’esistenze sotto forma umana, animale, ecc. (i cinque destini). Quest’opposizione è dello stesso ordine di quella che sembra esistere tra le tradizioni apparentemente “creazioniste” e quelle apparente­mente “emanazioniste”, o tra le tradizioni che evocano l’“Attrazione Originale” (Nahash) come origine dell’esistenza separata, e quelle che evocano l’Avidyâ, l’ignoranza o l’illusione.

In realtà, come sempre, in questi casi, si tratta di “punti di vista” di­versi sulla “Realtà totale” che ne comporta un’“indefinita indefinità”, e non esiste né può esistere tra loro alcuna reale contraddizione. Per contro, v’è il rischio di grave errore, se non si precisa a che corrispon­de ogni speciale punto di vista, vale a dire se non si fissano le sue limitazioni (o i suoi limiti) e le sue relazioni con gli altri punti di vista.

3o. Come dicevamo iniziando questa nota, René Guénon ha avuto per compito fondamentale l’esatta esposizione metafisica delle dottrine tradizionali, ed egli ha affrontato la descrizione cosmologica della Manifestazione Universale nei suoi rapporti con il divenire umano, solo nella misura strettamente indispensabile a tal fine.

È così che nella sua opera fondamentale, L’Homme et son devenir selon le Vêdânta, ha esposto completamente (benché in breve), le varie tappe che percorre quello che al presente è l’uomo, quando questo segue una delle vie che conducono dallo stato umano alla Liberazione; per contro, non ha affrontato, se non con un’allusione alla teoria dei cicli, l’esposizione del divenire dell’Essere nel passaggio da uno stato individuale umano a un altro stato individuale.

4o. Pertanto, egli ha metafisicamente dimostrato (capitolo VI de L’Erreur spirite) il carattere erroneo di ciò che gli Occidentali inten­dono con “reincarnazione”, vale a dire: il passaggio di una stessa so­stanza separata, di natura spirituale, o anima (che forma una sorta di monade), attraverso una successione di stati corporei successivi[10].

Dobbiamo d’altronde aggiungere subito che non conosciamo alcun testo canonico, sia orientale, sia occidentale, in cui la reincarnazione, intesa in questo modo, si trovi menzionata, e questo semplicemente per la buona ragione che non ne conosciamo alcuno in cui la nozione d’anima, come credono di considerarla i moderni Occidentali (sostanza + unitaria + spirituale + individuale)[11], si trovi associata sia all’idea di ritorno a uno stesso stato, sia anche all’idea di una soprav­vivenza dopo la morte.

Tutto ciò che è stato detto in contrasto con quest’affermazione si basa su degli errori d’interpretazione o di traduzione, e risulta da que­st’infermità degli uomini del Kali-Yuga che rende loro così difficile concepire delle esistenze senza forma o delle esistenze che non siano supportate da sostanze separate e irriducibili.

Ora, né nel Giudaismo (dove né Nephesh, Ruach e Neschamah corri­spondono a ciò che i moderni chiamano anima e spirito), né nel Cristianesimo (in cui san Paolo s’è naturalmente limitato a trasporre questi termini ebraici); né nel Brahmanesimo (in cui Atman non ha niente in comune con l’anima dei moderni), né nella Bhâgâvad-Gîta (in cui la formula impiegata nel capitolo II, 22 designa la serie causale individuale che genera una continuazione di vite su vite attraverso la corrente delle forme), né ancor meno nel Buddhismo o nel Lamaismo (in cui l’Alaya Vîjnana corrisponde alla formula della Bhâgâvad-Gîta), né nell’esoterismo islamico *; in una parola in nessuna delle forme ortodosse, niente di simile è mai esistito, e la concezione occidentale moderna è alle concezioni metafisiche dell’Oriente quel che la viscerale devozione al Sacro Cuore è all’ardore dell’amore informale del vero cristiano per il Verbo supremo, incarnato (quindi manifesto) in Gesù Cristo, Colui che è per il Cristiano la fonte mediante la quale si produce nell’uomo tutto ciò che è Amore e sussistono e si muovono nel Cosmo, il Sole e le altre Stelle.

5o. Ma, precisamente, essendo le questioni propriamente metafisiche trattate prima al loro rango primordiale (che si tratti della Mahâprajnâ parâmita nel Lamaismo, dei Brahma Sûtras nel Brahmanesimo, ecc.) una sezione importante dell’insegnamento sacro dell’Oriente verte sulla descrizione cosmologica della Manifestazione Universale nei suoi rapporti con lo Stato umano (Abidharma nel Lamaismo, ecc.), così come sui rapporti individuali e sulle corrispondenti tecniche (Tantras o Rgyud).

Ora, questa descrizione puramente fenomenica mette in gioco tutti i processi inglobati assai sommariamente in quello che gli antichi Pitagorici chiamavano la metempsicosi e di cui vorremmo cercar di dare almeno un’idea sommaria.

6o. Lo stato umano, caratterizzato dal possesso del Manas (organo mentale) (semplice partecipazione d’altronde al Manu cosmico) comporta un certo numero di caratteristiche psicologiche[12], tra le quali la memoria.

Da una parte, la serie interna degli stati che un uomo percorre nel corso della sua esistenza individuale genera la determinazione dello stato d’esistenza che succederà a questo stato umano.

Dall’altra parte, la serie esterna (corrispondente alla precedente) dei suoi atti nel corso della sua presente esistenza ha generato nel mondo grossolano come nel mondo sottile, delle serie di causalità, tra le quali un gran numero appartenenti a quei complessi psico-mentali che ab­biamo l’abitudine metafisicamente errata di ritenere come costituente l’essere individuale umano che conosciamo (mentre ne sono solo degli elementi formanti aggregato, come gli elementi fisici che entrano nella composizione del corpo grossolano e poi ne riescono nel corso del­l’esistenza).

Queste serie di causalità si spiegano dopo la morte, generano delle sequenze di stati psico-mentali, centralizzati (o aggregati) su una o più esistenze individuali, che saranno a questo riguardo, entro tale limite e sotto tale forma, la continuazione nel dominio psico-mentale dell’esi­stenza psicologica dello scomparso.

Così si costituiscono le “reincarnazioni” del morto, che non hanno davvero niente a che fare con la reincarnazione, poiché si tratta esclu­sivamente di una metempsicosi.

7o. È questo il momento d’aggiungere che in certi casi la concen­trazione unificante della vita psicologica nel corso di un’esistenza umana può essere tale, che quasi tutti gli elementi psicologici che erano legati a quell’esistenza siano portati a raggrupparsi in una stessa nuova esistenza umana, in modo tale che la continuità seriale così creata dà l’illusione di una trasmissione sostanziale.

Nello stesso modo, nell’arcobaleno, delle gocce d’acqua entrano nella zona in cui l’illusione colorata sembra localizzata per un osser­vatore, poi ne escono, senza che in realtà vi sia alcun colore che sussiste nel punto in cui la si vede, supportata da alcuna sostanza colorata.

8o. D’altronde, in certi casi, la realizzazione di uno stato in cui degli elementi non individuali, non umani, si manifestano attraverso la forma umana (vedere qui sopra ciò che è stato detto a proposito della realizzazione metafisica) s’accompagna giustamente con la realizza­zione di quella concentrazione unitaria cui ci riferivamo qui sopra. In questi casi, la continuità seriale considerata s’accompagna con un’a­naloga continuità della manifestazione dell’elemento non individuale non umano, e i casi che consideriamo al presente corrispondono a quel che il Lamaismo designa come Tûlkus (Es. il Dalai Lama, Tûlku parziale di Subhuti e allo stesso tempo d’Avalokitêswara che continua peraltro la sua esistenza sotto le diverse forme e condizioni che cor­rispondono alla sua definizione e alle sue funzioni).

D’altra parte, una trasmissione simile resta, bisogna dirlo, soggetta a parecchia alea, giacché è subordinata alle condizioni cosmiche gene­rali, e gli aggregati d’elementi che si succedono così in serie possono subire dei cambiamenti per addizioni, sottrazioni, o anche modifi­cazioni correlative alle modificazioni della biologia umana sull’in­sieme della Terra nel corso della durata.

9o. Infine, per terminare con quest’ordine di questioni dobbiamo aggiungere che così come nel nostro mondo occidentale, molti fedeli assolutamente incapaci di qualsiasi attività propriamente intellettuale prendono alla lettera la terminologia religiosa, e, in realtà, adorano più o meno coscientemente delle immagini scolpite o dipinte, o delle immagini psico-mentali, allo stesso modo in Oriente la folla poco dotata dal punto di vista metafisico o poco istruita vede facilmente nei fenomeni di continuazione seriale che abbiamo appena descritto quel che gli occultisti e i neo-spiritualisti d’ogni genere chiamano reincar­nazione.

D’altronde il potente sforzo d’occidentalizzazione dell’Oriente al quale ci riferiamo all’inizio di questo studio, s’esercita naturalmente su questo punto come su tutti gli altri nel senso più adeguato per distruggere tutto ciò che costituisce lo spirito tradizionale, in maniera da rendere possibile lì come dappertutto la conquista del potere terrestre da parte di tutto ciò che v’è di più basso e opposto all’ordine gerarchico dei reali valori.

V

Conclusione

A mo’ di conclusione, insistiamo ancora sulla straordinaria potenza di suggestione, continuamente crescente, del potere di menzogna che dominerà interamente il mondo esteriore prima della fine del ciclo. Sappiamo che vi sarà un momento in cui ciascuno, solo, privato d’ogni contatto materiale che possa aiutarlo nella sua resistenza interiore, dovrà trovare in se stesso, e solo in sé, il modo d’aderire fermamente, tramite il centro stesso della sua esistenza, al Signore d’ogni Verità. Non si tratta di un’immagine letteraria ma della descrizione di uno stato di cose che non è forse molto lontano. Possa ciascuno prepa­rarvisi e armarsi di una tale rettitudine interiore che tutte le potenze d’illusione e di corruzione siano impotenti a farlo deviare. Niente meglio dell’opera di René Guénon può facilitare agli Occidentali questa preparazione.

Da: Lettera e Spirito - http://acpardes.com/letteraespirito/alcune-osservazioni-a-proposito-dellopera-di-rene-guenon/

[1] Ci riferiamo qui a tutto ciò che René Guénon ha avuto in vista nella re­dazione del Capitolo X e della conclusione de L’Erreur Spirite, testi ai quali preghiamo di riferirsi.

[2] Apocalisse, XIII, 16 e 17; XIV, da 9 a 13.

[3] L’Erreur spirite, p. 314.

[4] Che si tratti dell’India, della Cina o anche dell’Islam.

[5] Teniamo a precisare che noi constatiamo un fatto, e che se questo fatto concerne gli “anglosassoni” ciò non esclude affatto che l’azione della contro-iniziazione prenda appoggio, secondo le circostanze, su qualsiasi altro popolo della Terra. Non possiamo sviluppare qui le considerazioni che si collegano con quest’ordine di questioni.

[6] E ristampate in Le Voile d’Isis ed Études Traditionnelles.

[7] È detto “necessario di necessità di mezzo relativo”, vale a dire che è neces­sario nel corso ordinario delle cose ma che può esservi supplito da altri mezzi quando certe condizioni particolari sono soddisfatte.

[8] Ad esempio ne L’Introduction générale à l’étude des doctrines hindoue, p. 159, e Orient et Occident, p. 229 e 230 della I edizione, le restrizioni formulate nell’ultimo passaggio si riferiscono non tanto ai riti, ma all’Insegnamento tra­dizionale organizzato.

[9] Matgioi indica, per il caso del Taoismo verso il 1900 le corrispondenze di questo genere, nella sua opera La Voie Rationnelle, capitolo VII.

[10] Impieghiamo qui di proposito una formula il più descrittiva possibile del processo considerato (giacché si è qui nel divenire temporale), ma aggiun­giamo immediatamente che le parole così assemblate sono logicamente incom­patibili, quindi la formula assurda. Inoltre succede in generale la stessa cosa per la maggior parte delle formule filosofiche dell’Occidente il cui contenuto è effettivamente “impensabile”, dunque assurdo o illusorio.

[11] Esempio di parole incompatibili.

* N.d.T: Islamisme ésotérique nell’originale, tuttavia, come indicava R. Gué­non: «[…] l’esoterismo è essenzialmente altro dalla religione, e non la parte “interiore” di una religione come tale, anche quando prende la sua base e il suo punto d’appoggio in essa come accade in certe forme tradizionali, nell’Islam ad esempio; […]», aggiungendo in nota: «È per ben marcare questo ed evitare qualsiasi malinteso che è opportuno dire “esoterismo islamico” o “esoterismo cristiano” e non, come fanno certuni, “Islamismo esoterico” o “Cristianesimo esoterico”; è facile capire che v’è qui più di una semplice sfumatura» (cf. Aperçus sur l’Initiation, Éditions Traditionnelles, Paris, 1946, cap. III).

[12] Impieghiamo questa parola in mancanza di meglio. Si tratta di quel che l’Abidharma chiama Caittas “le cose” (dharmas) associate al pensiero.

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